depressione

“Figlio mio”, una lettera a quel bambino che arriverà

Placide Konan si rivolge a un figlio non ancora nato, desiderato e già amato. I futuri genitori si pongono le usuali domande, come sarà, a chi somiglierà… La vita è dura – il padre non risparmia questo genere di informazioni – ma non bisogna cedere e mantenere salda la propria integrità. Soprattutto quella mentale, così tanto minacciata da certe dinamiche sociali: “Forgia la tua mente anche quando la società ti opprime. E la malattia mentale non avrà il tuo indirizzo”.

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“Pazzo”, quando la società ti fa perdere la ragione

“Prestatemi i vostri denti voglio sorridere come voi. Prestatemi i vostri occhiali voglio vedere come voi. O semplicemente prestatemi una corda affinché io possa combattere questa malattia uccidendomi”. Essere come gli altri o non essere affatto, questo il dilemma senza uscita del “Pazzo” protagonista di questo inedito di Placide Konan. Non c’è via di mezzo tra i due estremi, non c’è cura, non c’è guarigione in una società che considera il disagio mentale come un’eccezione da ignorare invece di una variazione da accogliere e aiutare.

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“È notte sul molo”, il dolore per quella foto perduta

Un orfano perde in un incendio l’unica foto della sua famiglia. Racconta di essere alcolizzato, depresso, paranoico; per un equilibrio così instabile la perdita dell’unico aggancio con il passato è uno strappo lacerante. Il senso d’identità si frantuma, lasciandolo nella disperazione. Ma lo slameur Konan fa trovare al protagonista la forza di credere in se stesso e dire “Rimarrò forte come un bosco di sounsoun. Mi alzerò e andrò incontro a me stesso. Mi alzerò come una sola carne e supererò questo stallo”.

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“Per la malinconia”, se la speranza è solo diceria

Un testo che racconta il blues, la tristezza, quella sensazione che ti trascina giù al fondo di te stesso e ti fa domandare qual è il senso di alzarsi dal letto. I versi di Poetra Asantewa seguono la giornata di una giovane donna e i suoi pensieri che si rincorrono cercando di dare un senso alle sue angosce e al senso di inadeguatezza instillato da una società e da un clima politico che tendono a schiacciare le nuove generazioni. Ma la speranza c’è, sempre, perché “c’è qualcosa nel modo in cui una ferita aperta si richiude e rimodella e ripara da sola, che mi dice che siamo qui per molto più che sentirci persi”.

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In quei giorni oscurati dalla pesantezza dell’essere

“In cui ti dico tutti i motivi per cui non voglio esistere e tu mi dici di ricordare” è il testo che Poetra Asantewa ha composto per “Parole in folle. Qui l’autrice va al cuore del disagio mentale. Un groviglio di negatività generato dall’ansia, dalla depressione, dal senso di inutilità e di impotenza, che viene sciolto da una voce amorevole capace di guarire con parole di speranza. “Ricorda che la vita distrugge tutti noi, e che ogni respiro che facciamo è il corpo che ripara la sua rottura. Ricorda che c’è la prova vivente che questo peso che senti non è nuovo o alieno è un mostro oscuro dilaniato che è stato combattuto e conquistato da altri prima di te e verrà conquistato anche da te”.

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“Depressione”, il suono della musica in quella morsa che si allenta

Spesso chi convive con una patologia finisce con il personalizzarla, considerarla come un’entità con una vita e una volontà propria. Così l’autrice tanzaniana Delphina Robert scrive, in forma poetica, una lettera alla depressione che, se fino a poco prima era con lei, ora se n’è andata improvvisamente. Nessuno l’ha avvisata di questa “partenza”, dice, ma ora l’assenza è evidente: la musica ha tutt’altro suono. E la sensazione iniziale di disagio, di trovarsi in una condizione diversa, lascia spazio al sollievo, e a un foglio bianco tutto da scrivere.

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“Una lettera alla mia migliore amica”, la scrittura come guarigione

L’autrice tanzaniana Leah Gerald Soko racconta di aver scritto questo componimento di notte, con la mente e l’animo in subbuglio. Sentendosi impotente e incapace di fronte alle difficoltà della sua vita e, soprattutto, sentendo di non avere nessuno con cui confidarsi, ha deciso di scrivere. Una lettera alla sua migliore amica diventa l’occasione per aprirsi rispetto ai suoi sentimenti più nascosti, per affrontare le avversità e trovare la motivazione per accettare la sofferenza e decidere di voler guarire. Come Leah stessa ci ha detto, la scrittura ha aperto “un varco nella depressione e nell’ansia” e rappresenta ora uno strumento “per guarire e sentirmi forte e sicura.”

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“Agrodolce” è quel taglio nella pelle che soffoca il dolore dell’anima

Il disagio mentale può manifestarsi in svariate forme; alcune sono caratterizzate dall’autolesionismo, un circolo vizioso che conduce a punire il corpo, l’involucro del malessere interiore, fino quasi a trarne piacere. Questa esperienza viene raccontata con cruda sincerità da Mercy Bibian nel componimento poetico che qui presentiamo e che descrive il “viaggio” verso l’autolesionismo in singole scene di ispirazione cinematografica. L’esperienza del primo taglio e poi dei successivi, fino all’instaurarsi di una dipendenza dal dolore, dall’atto in sé del tagliarsi che – quasi inconcepibilmente – offre sollievo da pensieri e sensazioni che si fanno insostenibili.

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Ruanda, disturbi mentali alimentati dallo stigma e dall’ignoranza

In Africa, il pregiudizio della società nei confronti dei disturbi di salute mentale contribuisce ad aggravare la situazione delle persone che ne sono affette. L’articolo riporta dei casi di stigma sociale verificatisi a Kigali, in Ruanda, nei confronti di persone che, ignare di avere un disturbo di questo genere, soffrivano e ignoravano di poter chiedere aiuto a un medico. Senza un’assistenza sanitaria dedicata e campagne di sensibilizzazione, il pensiero comune riguardo questi disturbi non cambierà. Sarebbe poi auspicabile in molti Stati africani il varo di una legge contro lo stigma.

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“In questo nostro mondo” maestro di vanità e triste isolamento

“Nessun uomo è un’isola” recita un celebre verso del poeta inglese John Donne: siamo tutti legati a doppio filo tra noi in quanto umanità. Ma la società in cui l’uomo moderno ha organizzato le sue comunità tende all’esaltazione dell’individualismo al punto tale da spingere all’isolamento, soprattutto chi soffre della spietata pressione sociale. Questo il contesto della poesia dell’autore nigeriano Ayomide Inufin D’great, la cui parola cardine è “perdita”. Perdiamo la testa, l’energia, i valori fondamentali, la via maestra, e cerchiamo un appiglio nella vanità, nella decadenza che ci avviluppa e da cui – forse – possiamo ancora salvarci.

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