poesia sudafricana

“Elegia per Nathi”, eppure morire rimane contagioso

Spesso le morti per suicidio sono avvolte dal silenzio, da un senso quasi di vergogna davanti al rifiuto di vivere. E così chi resta comincia a parlare di stanchezza, “era stanco di vivere” si usa dire. Questo testo è un atto di ribellione di fronte a tali, superflue quanto dannose, delicatezze. Bisogna dire la verità, dire “suicida al posto di stanco” e imparare a leggere i segnali della depressione più cupa, così suggeriscono i versi di Xabiso Vili. Per salvare noi stessi, i nostri cari e tutti i Nathi del mondo, amici fraterni che non vorremmo mai dover perdere così.

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Luce, “Stanotte, sono il telescopio James Webb”

Questa poesia inedita che Xabiso Vili ha composto per “Parole in folle” è una gemma. Come una pietra preziosa splende a illuminare il buio; il buio dell’universo che il telescopio James Webb – il più grande mai lanciato nello spazio – scandaglia con i suoi raggi infrarossi. Così, come il telescopio intercetta informazioni sulle origini delle stelle e delle galassie, il nostro autore spalanca le braccia e i ricordi tornano a fargli visita dal passato, trasportandolo in una dimensione in cui ogni cosa non ha inizio e non ha fine, in una luce che è vita pulsante.

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“Dimenticarci come morire”, una lotta contro la resa

In una laicissima omelia, l’autore accoglie i convenuti a un funerale – l’ennesimo. I suicidi si susseguono uno dopo l’altro ogni volta con una modalità diversa: cappi, pallottole, cuscini, tagli… Allora, dice questo immaginario officiante, siamo qui riuniti per dimenticarci come si può morire. E per trovare in noi un moto di ribellione che ci faccia dire “Sono pronto a lottare, portate il vostro dio e la vostra morte. Se perdo, non osate seppellirmi. Perché il mio spirito è incazzato e sarà il prossimo a combattere”.

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Abigail George, quando la parola affronta il buio della paranoia

Per favore, aiutatemi a correggere i jalapeños e Theodore Roethke è il titolo di questa poesia che ci conduce in un mondo tanto inconsueto quanto familiare. Si tratta di un territorio selvaggio dove la realtà e il sogno si incontrano: gli elementi del nostro quotidiano ci rammentano della loro dimensione simbolica e le voci nelle nostre teste dialogano con le voci degli autori che abbiamo letto e dei compositori di cui abbiamo ascoltato le musiche. Lungi dall’essere una mera giustapposizione di immagini e suoni, quella di Abigail George è una poesia accuratamente strutturata che rivela con tatto e chiarezza la lotta per raggiungere l’equilibrio mentale e diventare una donna indipendente ed emotivamente stabile.

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“Come una candela nel vento”, quel soffio sulla fiamma della vita

“È così difficile, questa cosa del vivere / due decenni a volte sono / più di quanto uno possa sopportare”, così inizia questo testo poetico, composto sull’onda della commozione per la morte di un giovanissimo e stimato poeta. Lo racconta l’autrice stessa, vangile gantsho, poetessa e guaritrice sudafricana che scrive fin dalla più tenera età, prediligendo l’approccio personale e politico. Sebbene ci siano “cicatrici troppo profonde persino per la poesia”, quest’opera illumina i sentimenti più bui dell’animo umano che portano al suicidio, una scelta che l’autrice invita a non giudicare frettolosamente come vigliacca ed egoista.

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