“Dimenticarci come morire”, una lotta contro la resa

Siamo venuti in questo luogo per dimenticarci come morire.

Quelli come me perdono di vista la vita prima ancora di diventare ciechi, così siamo venuti a riprenderci i loro occhi.
Succhiare il burro di cacao dalla loro pelle
così che possano diventare rugosi,
insegnare alla mia gente come invecchiare.

Caro dio,
lascia andare la mia gente.
Rimetti insieme l’oceano,
cammineremo sull’acqua piuttosto.
Rendi il respiro a quel ragazzo,
sua madre piange da tre giorni,
Gesù non è il solo
che merita resurrezioni.
Siamo in fila per un miracolo

Cara morte,
incassi ancora sui salvatori
o la tua seconda venuta ha l’aspetto di polsi del Mar Rosso, di sedie in bilico,
come avessimo telescopi al posto del petto.
Guarda attraverso il foro d’uscita
e vedrai tutto quello che ci devi.

Dev’essere dura
ricordare i tuoi debiti da lassù.
Padre nostro, che sei nei cieli
neanche lui risponde alle telefonate degli esattori.
Non può ripulire il suo macello,
ci ha lasciato una serpe in seno.
Ora la mia gente si strazia la carne,
per salvarsi.

Sono ubriaco da così tanto
perché le veglie non finiscono mai,
le strade per il cimitero
sono ricolme da un lato all’altro.

Trasformerò questa processione
in rosari dalle nostre costole.
Le nostre dentiere
saranno queste lapidi
con i tuoi dieci comandamenti
che scolpirò sui denti,
seppellisci le nostre lingue tre metri sottoterra.
Così quando si alzeranno,
la resurrezione è la sola lingua
che parleranno.

Siamo venuti qui per dimenticarci come morire.

Siamo stanchi
di aggrapparci a queste foto
per custodirle.
Trasformando album in testi sacri,
questi ricordi ci tagliano con la carta.

Sull’interno delle nostre cosce.
Tra le braccia.
Quei posti che sono facili da nascondere,
finché non lo sono più.

Ci siamo trasformati
in stoffe slabbrate per fotografie scordate.
Ci siamo tormentati i polsi
cercando di nascondere le cicatrici.
Abbiamo sdrucito le cuciture
e scelto le scene
della nostra fine.

E lo psichiatra ci chiede
se abbiamo mai pensato al suicidio.

Quelli come me hanno cappi al posto del sangue,
e proiettili per occhi.
Coltelli in gola
che si vedono quando sorridiamo.
Nati con edifici sotto i piedi,
chiudono gli occhi e imparano a volare.

Sono stanco.

Sospira il respiro del mio respiro,
da qui, tirerò fuori
tutta la forza che mi resta.
Sono pronto a lottare,
portate il vostro dio e la vostra morte.

Se perdo,
non osate seppellirmi.

Perché il mio spirito è incazzato

e sarà il prossimo a combattere.

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Su gentile concessione dell’autore

Traduzione di Marta Minardo

Link all’originale

Xabiso Vili

Il sudafricano Xabiso Vili, campione mondiale 2022 di Poetry Slam, è un artista pluripremiato che conta centinaia di performance in quattro continenti.

Tra i maggiori poeti contemporanei del Sudafrica, ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti non solo come poeta di spoken word, ma anche come scrittore, produttore, digital strategist, artista di new media (si occupa in particolare di realtà aumentata e realtà virtuale).

Crede fermamente che la poesia non solo sia uno strumento terapeutico per chi la crea e per chi ne beneficia, ma anche un mezzo in grado di influenzare positivamente la comunità, favorendo l’integrazione e la condivisione di parole in spazi innovativi.

La sua poetica esplora il proprio mondo interiore per cogliere i sottili fili che lo legano al mondo esteriore e, spesso con l’ausilio di audiovisivi digitali, sonda la relazione tra passato ancestrale, presente e futuro.

Nell’ottobre 2023 si è esibito per la prima volta in Italia per l’evento “Parole in folle” a Padova e a Bologna con questo componimento, “Elegia per Nathi” e l’inedito “Stanotte, sono il telescopio James Webb“.

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