“Vivere con il disturbo bipolare”, dubitare di se stessi e della realtà

Alcuni anni fa mi è stato diagnosticato il disturbo bipolare. Lo combatto con l’aiuto dei miei farmaci e spesso ne scrivo. Ogni persona ha sintomi diversi. Quando il disturbo si presenta in forma lieve, la persona in questione vive emozioni di entità “normale” come se fossero le salite pazzesche e le discese devastanti di una corsa sulle montagne russe.

Ho vissuto la mia buona parte di periodi bui. Quando la luce si spegne e sprofondi tra gli spasmi della depressione. Quando perdi interesse in tutte le cose e in tutte le persone che prima amavi. In quei momenti dimentico tutte le piccole cose che prima mi rendevano felice. Metto in dubbio la mia fede, la mia tenacia e il mio carattere. Le voci nella mia testa si fanno più forti e il leone gentile ai miei piedi diventa un orso demoniaco che mi perseguita di notte.

Mi perdo nelle pozze della vacuità. I piedi penzolano dall’orlo del precipizio. Sento l’ansia in agguato dietro ogni angolo che aspetta un mio momento di debolezza per divorarmi. Perdo traccia troppo facilmente della via di mezzo. La felicità è reale o sono soltanto in una fase maniacale? Sono io che sono agitata o si tratta di un trigger che mi butterà di nuovo giù?

In un attimo, sono di nuovo viva. Faccio un passo avanti verso la luce. Stavolta sono più felice e più sicura di me. Cavalco le tempeste e chiamo a raccolta gli oceani. Le brezza mi rinfresca e i colori sono più vividi. La musica è rassicurante e gli angoli delle labbra all’insù. Ho tante idee e mi muovo agilmente tra le onde. Perdo la cognizione del tempo, presa da tutte le cose che amo fare. Sonnecchio per qualche minuto ed è come se avessi dormito per ore. Incontro gli amici e telefono ai parenti. Scrivo la quinta poesia di fila e mi rimetto in pari con il lavoro da consegnare.

Sono inarrestabile.

Ma in fondo mi dà la nausea sapere che queste giornate non dureranno e presto passerò dall’altra parte. Ma come fai ad abbandonare una nave che affonda se la tua scialuppa di salvataggio è piccola come un ditale? È difficile spiegare come ci si sente quando il dolore e le emozioni crescono a dismisura dentro di te. Spiegare come una mente malata può prendere il sopravvento e rovinarti la vita. Non c’è via di uscita.

Sono sopravvissuta all’autolesionismo. Alle medicine che ho ingurgitato, per poi chiudere gli occhi e sperare di morire.

Alle lame con cui mi sono tagliata i polsi. La cosa più soffocante sono gli attacchi di panico che non finiscono mai. Le palpitazioni e le mani sudate. La sensazione che qualcosa di terribile stia per succedere e invece quella volta non succede proprio niente. Per superare questa sensazione, cerco di concentrarmi sul respiro invece di lavarmi il viso e ricordare continuamente a me stessa che anche questo attacco passerà.

I miei genitori sono cristiani praticanti. Mi chiedono di pregare ma, ciononostante, le brutte giornate non svaniscono. Giorni o settimane intere si trasformano in un pozzo di disperazione senza fine. Gli incubi, quando inciampo nell’insonnia, e mi addormento piangendo, chiedendomi quando finirà. Ma non finisce mai.

Tutti i giorni, tutte le notti,

Continuerò a lottare. Io vivrò.

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[Traduzione di Gaia Resta]

Su gentile concessione dell’autrice

Link all’originale

Emily K Millern ha 22 anni, è nata in Kenya e vive a Nairobi dove si è laureata in Discipline Umanistiche. È un’artista di spoken word e scrive sia testi poetici che in prosa. Ha pubblicato nel 2020 il suo primo ebook, Black Girl Magic, che spera di poter pubblicare al più presto in formato cartaceo. Tra i premi che le hanno conferito, Integrity Tribe Kenya (2020) e Most promising artist – Spoken HeArt Maseno (2019-2020).

Parla apertamente e con naturalezza dei suoi disturbi mentali e si impegna attivamente per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’argomento. “Scrivo per non spezzarmi” dice.

A proposito del libro Black Girl Magic, in cui sono raccolte 15 poesie, ha detto che è il frutto di “notti insonni, le notti più buie che sembrano non finire mai. E della volontà di mescolarle a un raggio di luce che si spera produca una guarigione. È il tentativo di spiegare la condizione di una ragazza nera in questo nostro mondo così grande e diverso. Trovare un luogo sicuro in cui sentirmi a mio agio e creare spazio per altre donne. Crogiolarsi nella magia dell’esistenza“.

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