Abigail George, quando la parola affronta il buio della paranoia
Per favore, aiutatemi a correggere i jalapeños e Theodore Roethke
Vivo su un’isola sperduta come se fossi circondata da scimmie di velluto.
Cerco di scimmia-mangiare per comprendere le cose e di scimmia-elaborare lo stigma,
il mentalismo, di espellerlo dal mio sistema, di scimmia-vedere la mia cosiddetta mamma
essere indipendente e amarci sebbene siamo tutti esseri fatalmente imperfetti.
Figlie e marito. Conosco il mondo dell’autoillusione. Diciamo che è un atipico
motivo di gloria e intuito. Conosco il mondo della paranoia. Lo conosco bene.
Mi sento inquieta-terrorizzata. Penso al mio autoisolamento. Sono persa nella
gravità e nelle origini della teoria, nella cerimonia dell’utero di Roethke.
Sono persa nella teoria dell’attaccamento della psiche e in quel tipo di incapacità
acquisita dell’intelletto di mia madre-frigorifero e della scimmia-vita,
è così che va. Donna che sei nel sistema. Donna della classe operaia,
non mettere più in discussione la tua sanità, la tua memoria, la tua percezione del
flusso dell’universo intorno a te. Ama solo coloro che ti amano con
tutto il loro essere. Non temere le altezze che puoi superare
come una vertigine. Ricorda la tua strada, la via per l’illuminazione, i tuoi
errori. Non sono stati altro che le istruzioni che ti hanno aiutato lungo
il tuo percorso esposto al sole. Comprendi che anche il caos una volta aveva un sogno. Il suo intento
era di ucciderti dentro. Le profondità della tua fibra morale. Con calma, poni una distanza
tra te e le sofferenze del passato. I rimorsi del passato. Ora gestisco la mia vita grazie
a rituali ossessivi e alla fatica delle dissociazioni. Quelle scimmie
fanno poeticamente a turno nel farmi impazzire. So che c’è un flusso, un estremo potere,
uno squilibrio. Lo squilibrio assoluto del potere assoluto. Ho scoperto
la psicologia tramite la mia malattia mentale. La mia lotta. La mia lotta innata per
l’indipendenza, la sicurezza emotiva ed economica. I fiori laggiù rappresentano un
modello di trauma per i disturbi mentali. Riesco a pensare e a danzare soltanto con
le parole. Parole come “ruolo causale”, rovente come un bollitore, e il lato oscuro della
“sicurezza nella relazioni familiari”. Riesco a pensare soltanto alle donne vittime,
alla crudeltà mentale, nel ricongiungersi con la società e la comunità. Ma io
ho fatto ritorno dai funghi del sé diviso. Il suo Walmart*.
Dal sé invisibile. Dal sé che non può e non vuole
avere un nome. Mozart legge Emergency Continued. Mi dice che lassù
conosce bene il pedagogista sudafricano Richard
Rive. Rive e Brink giocano a scacchi mentre discutono dell’Effetto Sylvia Plath (è
molto comune lassù e produce un certo sollievo parlarne
in quella comunità). Parlano di mascotte e simboli, cani, gatti
e compositori contemporanei del panorama post-apartheid. Negli
archivi, Roethke vivrà per sempre. Sul web, su Wikipedia, sui media
i jalapeños sono blu. I jalapeños sono blu come una piscina
olimpionica. Mozart sa perché lo chiamano jazz. Almeno credo.
L’io interiore degli alberi è verde. I campi roventi sono verdi. Il
nuovo raccolto, eppure, è giallo. La mia grandezza è frutto dell’immaginazione, illusione, soggetto e
oggetto vivente, ed evito di parlare dei capitoli di maltrattamento cronico
nella mia infanzia. Cerco di amare. Ci provo. Cerco di amare il ramoscello d’ulivo, ma
mi sputa fuori e mi rifiuta. I fichi verdi mi disprezzano per via del mio intelletto.
Perché sono una donna che legge. Perché Cristo ha lasciato il mio destino nelle
mani delle stelle. Le olive sono fredde, nuotano nella brina. Hanno
la loro canzone. Cantano la libertà. Le olive hanno una mentalità femminista. Mi guardano
attraverso la bottiglia di vetro ogni volta che la porta si apre con un click tramite
una fessura a ditale. Con sguardo vitreo, studiano e osservano ogni movimento.
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*catena statunitense di negozi al dettaglio
[Su gentile concessione dell’autrice]
Traduzione di Gaia Resta
Link all’originale
Abigail George è una scrittrice e poetessa femminista sudafricana. Nata nel 1979, attualmente vive a Port Elizabeth. È molto prolifica: ha scritto una novella, numerosi libri di poesia e una raccolta di racconti brevi. È stata candidata al Pushcart Prize e ha vinto due borse di studio per scrittori del South African National Arts Council e una del Centre for the Book and the Eastern Cape Provincial Arts and Culture Council.
L’opera qui tradotta concentra in sé le tematiche principali della poetica dell’autrice: un’atmosfera onirica, una fitta rete di riferimenti intertestuali, una moltitudine di voci. I pensieri stessi della poetessa si intrecciano con le voci di artisti del passato e, insieme, sono controbilanciati da un immaginario vivido composto da colori ed elementi allo stesso tempo familiari e altamente simbolici come il ramoscello d’ulivo e i fichi verdi.
Da questo paesaggio onirico costituito da suoni e immagini che sono contemporaneamente reali, fittizi e riverberi dal passato, emerge la lotta contro la malattia mentale in tutta la sua complessità. E anche la lotta di una donna “per l’indipendenza e la sicurezza emotiva ed economica” che poi è la lotta di tutte le donne che non vogliono diventare “donne vittime“.