Autore: Antonella Sinopoli

Modelli inclusivi in Kenya, le scuole inABLE per ciechi e ipovedenti

Circa un miliardo di persone nel mondo vivono con una qualche forma di disabilità e, secondo i dati della Banca Mondiale, l’80% si concentra nei cosiddetti Paesi in via di Sviluppo. Il 90% dei bambini con disabilità non riceve un’istruzione e non frequenta la scuola. Per affrontare questa problematica, inABLE ha strutturato un programma specifico per giovani studenti con disabilità visive chiamato “Computers-Labs-for-the-Blind”. Abbiamo intervistato Irene Mbari-Kirika, fondatrice e direttrice esecutiva dell’organizzazione no-profit, affrontando tra l’altro il tema dell’accessibilità digitale in vista della Inclusive Africa Conference 2020.

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Kenya, inABLE schools for the blind and visually impaired students

Approximately one billion people in the world live with some form of disability and around 80% is located in developing countries. 90% of children with disabilities do not receive an education or attend school. To tackle this problem, inABLE has structured a specific program for young students with visual disabilities called “Computers-Labs-for-the-Blind”. We interviewed Irene Mbari-Kirika, founder and executive director of the no profit organisation to address the issue of digital accessibility in view of the Inclusive Africa Conference 2020.

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Necklaces for the Headless, un libro contro i tabù sulla disabilità

Una bambina nata senza testa, il disgusto e la paura degli altri, la capacità di farsi strada nonostante la “diversità”, il talento che trova la strada per esprimesi. Attraverso un racconto un po’ paradossale, un po’ fantasy, la scrittrice ruandese Gabriella Emilie Afrika affronta la questione della disabilità, del disagio e del rifiuto che provoca negli altri e del bullismo. Un libro che è anche un modo per dare spazio alla rappresentazione della disabilità in letteratura e rompere i tanti tabù su questo tema. 

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Nobukho Nqaba e le performance dell’impermanenza e del viaggio

Quando si parla di migrazione non c’è nulla di certo, a volte neanche quando si arriverà e per quanto tempo ci si fermerà. L’arte di Nobukho Nqaba ci porta a questo: storie, visionarie o reali, di ciò che è transeunte, destinato a finire. Lei è nata in Sudafrica, a Butterworth, piccola cittadina rurale nella provincia di Eastern Cape. Ma già dall’età di sei anni, per vicende familiari, ha cominciato a sperimentare la migrazione interna. In questa intervista ci racconta cosa esprime attraverso performance – spesso con le famose “Ghana Must Go Home” – che la vedono quasi sempre anche all’interno della scena sperimentando ricerca di identità, solitudine, alterità.

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Nobukho Nqaba: impermanence and migration in performance art

When it comes to migration, nothing is certain: no one knows when he/she will arrive or how long he/she will stay. The art of Nobukho Nqaba tells us stories, both visionary and real, about what is transient, destined to end. Nobukho was born in Butterworth, a small rural city in South Africa’s  Eastern Cape. When she was six, she had to migrate within South Africa due to family issues. In this interview, she tells us about her performances that convey through her own body and presence – and often through the famous “Ghana must go home” – a sense of identiy, loneliness and otherness.

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Ghana: Botsyo, the paralympic athlete who defied the stigma

Raphael Botsyo Nkegbe is a Ghanaian para-athlete. He made proud his country with many achievements and he is the first ghanaian para-athlete to qualify for the paralympic games in Tokyo 2020 (postponed to 2021). He won the T54 World Wheelchair 100m race with a new personal best of 14.22s at the Desert Challenge Games in Arizona, USA. In this interview he talks about committment in sport, struggle in life, and happiness with a fantastic family.

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Ghana: Botsyo, il campione paralimpico che ha sfidato lo stigma

Raphael Botsyo Nkegbe è un atleta paralimpico ghanese, il primo del suo Paese a qualificarsi per i Giochi Paralimpici di Tokyo 2020. In questa intervista ci racconta delle sue difficoltà cominciate quando, a cinque anni, ha contratto la poliomelite. Difficoltà superate grazie alla famiglia e allo sport. Soddisfazioni, vittorie, importanti qualificazioni hanno fatto di lui un modello per tanti giovani disabili. Ha fondato un club per atleti con disabilità e sulla scia del suo impegno ne sono sorti altri nel Paese. Si è sposato e ha tre figli: “volevo dimostrare che non è vero – come qui si dice – che da due persone disabili nascono figli con gli stessi problemi”.

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#Mymindourhumanity, campagna globale per ridurre lo stigma

Partita lo scorso anno, l’iniziativa – che dovrebbe avere un nuovo slancio quando passerà l’emergenza sanitaria globale – vuole rendere i giovani protagonisti nel diffondere un nuovo approccio alla questione della salute mentale, rompendo con le paure e le stigmatizzazioni. L’arte e altre forme di comunicazione possono essere un mezzo per lanciare messaggi di speranza ma anche di consapevolezza nelle comunità. Si tratta di una campagna istituzionale, ma che ha comunque messo in movimento molte realtà dal basso. Mentre ricerche mostrano che la malattia mentale è in aumento.

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