I disturbi mentali sono ereditari, in Kenya in corso ricerca sul DNA
[Traduzione a cura di Luciana Buttini dall’articolo originale di e pubblicato su The Conversation]
Nel luglio del 2009, una donna ha portato il marito all’ospedale di Eldoret, nel Kenya occidentale, dove lavorano i nostri colleghi. Secondo quanto riferito ai medici dalla donna, per diversi anni l’uomo avrebbe avuto dei comportamenti anomali: soffriva di insonnia, aveva allucinazioni uditive e credeva che gli altri sparlassero di lui e complottassero per fargli del male.
Il motivo della richiesta di aiuto della donna era che suo marito, in quelle condizioni, non era più in grado di lavorare. Così l’uomo è stato ricoverato nel Centro psichiatrico per la degenza di pazienti adulti [all’interno del Moi Teaching and Referral Hospital, NdT] con la diagnosi di schizofrenia.
In seguito la figlia è andata a fargli visita. Arrivata con capelli e abiti scompigliati, anche la ragazza ha raccontato di sentirsi oggetto di complotti altrui e bersaglio di occhiatacce per strada. Ha inoltre affermato di soffrire di disturbi del sonno. A questo punto i medici guardandosi con una certa preoccupazione si sono chiesti se anche lei soffrisse di schizofrenia.
Alla fine, questo disturbo è stato diagnosticato non solo a lei ma anche ad altri quattro membri della famiglia. Sebbene sia insolito avere sei componenti dello stesso nucleo familiare affetti da schizofrenia, i disturbi mentali sono da tempo riconosciuti come malattie ereditarie, ma capita spesso che quegli stessi familiari possano manifestare una sintomatologia diversa.
Per motivi che stiamo appena cominciando a capire, laddove una persona potrebbe essere diagnosticata come schizofrenica, un parente potrebbe essere affetto da bipolarismo o depressione. Nel centro psichiatrico di Eldoret è abbastanza frequente avere in cura due o tre parenti per problemi psichici.
Ma questo episodio non è il solo. Secondo uno studio, i geni costituiscono il fattore di rischio maggiore nella trasmissione dei disturbi mentali gravi; d’altra parte, grazie ai geni si stanno sviluppando nuove cure.
Finora le ricerche, che indagano sulle basi genetiche di queste malattie, hanno in gran parte escluso le popolazioni non europee. Ciò significa che la famiglia kenyota in questione, così come altri individui di origini africane, non potranno beneficiare di nuove conoscenze biologiche in materia.
Per rimediare al problema, un team di ricercatori statunitensi della Scuola di Salute Pubblica T. H. Chan dell’Università di Harvard e del Broad Institute del MIT, insieme ad altri esperti africani, provenienti da Università e Istituti di ricerca di quattro Paesi diversi, la Moi University e il KEMRI-Wellcome Trust in Kenya, la Makerere University in Uganda, l’Università di Addis Abeba in Etiopia e quella di Città del Capo, stanno collaborando per studiare la genetica alla base della schizofrenia e del bipolarismo.
L’iniziativa mira a un obiettivo mai raggiunto prima d’ora in termini di dimensione: selezionare, nei quattro Paesi africani, 35.000 soggetti a cui proporre un’intervista sulla salute, lo stile di vita e le malattie mentali e prelevare qualche campione di saliva per il test del DNA.
Una questione di varietà
La scoperta che le malattie mentali gravi e croniche tendono a concentrarsi nei nuclei familiari ha incoraggiato i ricercatori a studiare le differenze genetiche tra i soggetti affetti e non affetti. Ci auguriamo infatti, che osservando il DNA e chiarendo le disfunzioni cerebrali che causano queste malattie, si possa arrivare alla realizzazione di nuove cure in grado di trattare queste patologie debilitanti e la sofferenza che ne deriva.
Sfortunatamente, però, i recenti sforzi compiuti per studiare le origini genetiche di una moltitudine di malattie hanno portato alla luce quello che molti di noi definiscono come “un problema di varietà.” Ad oggi gran parte degli studi sulla genetica umana si è incentrata su individui di discendenza nordeuropea, alterando la trasversalità dei dati e inficiandone l’utilità per la maggior parte della popolazione mondiale.
Il mondo si sta pericolosamente avvicinando a un’era in cui i test genetici vengono effettuati solo su individui bianchi. Dagli attuali database si evince che il 78% delle informazioni sul DNA proviene da persone di origini europee, le quali costituiscono solo il 16% circa di tutta la popolazione globale.
Uno dei problemi sollevati dalla questione della diversità è che le nuove cure, così come qualsiasi altra soluzione, sarebbero più efficaci nelle persone di discendenza europea il cui DNA è stato oggetto di studio nella ricerca. Prendiamo ad esempio la città statunitense di Boston, in cui convivono bianchi, neri, ispanici e asiatici. In questo caso, i suoi abitanti non potrebbero trarre alcun beneficio dalle scoperte della ricerca in quanto quest’ultima riguarda solo una parte della popolazione mondiale.
Potenziali target per lo sviluppo di nuove cure
Il grande progetto di ricerca collaborativo attuato in Africa si chiama Neuropsychiatric Genetics of African Populations-Psychosis (Genetica Neuropsichiatrica delle Popolazioni africane affette da psicosi, NdT), in breve NeuroGAP-Psychosis.
Alla luce delle informazioni raccolte dai 35.000 intervistati coinvolti nel progetto, esamineremo le differenze genetiche importanti e clinicamente significative che sono riscontrabili nelle persone di origine africana e forse meno frequenti in quelle di origine europea.
Il risultato dello studio potrebbe portare all’individuazione di potenziali target per lo sviluppo di nuove cure che aiuterebbero non solo i popoli di stirpe africana ma forse anche tutti gli altri in quanto l’Africa è stata la culla di tutte le popolazioni umane, che poi sono migrate in altri continenti.
In realtà, se condotti su una piccola percentuale di persone, gli studi genetici perdono la loro efficacia. La nostra speranza è che i dati genetici raccolti da NeuroGAP-Psychosis e da altri studi simili in corso in molti Paesi tra cui Messico, Cina, Giappone e Finlandia, vengano incrociati per aiutarci a svelare il mistero delle origini della schizofrenia e del disturbo bipolare.
Il nostro più grande desiderio? Che tutte le persone affette da malattie mentali gravi, che si trovino a Boston o in Kenya occidentale, possano beneficiare di cure migliori.
Lukoye Atwoli è docente universitario di psichiatria e preside di facoltà del Medical College (scuola che fa parte della Aga Khan University Graduate School of Media and Communications) nell’Africa orientale.
Anne Stevenson, dottoressa magistrale in Politica sanitaria, pianificazione e finanziamento, è direttrice del programma di ricerca Neuropsychiatric Genetics of African Populations – Psychosis (NeuroGAP) presso il Broad Institute e la Scuola di Salute Pubblica T. H. Chan dell’Università di Harvard.