Ghana: Botsyo, il campione paralimpico che ha sfidato lo stigma
Raphael Botsyo Nkegbe, 40 anni a luglio, è un atleta paralimpico di nazionalità ghanese. Vive a Sunyani, regione Bono. A cinque anni ha contratto la poliomelite e da allora, naturalmente, la sua vita ha preso una direzione differente rispetto a quella dei suoi compagni di gioco. La sua fortuna sono stati i genitori che lo hanno sempre stimolato e appoggiato. Sono stati loro i primi a mostrare entusiasmo quando il giovane Raphy, come lo chiamano gli amici, ha cominciato a mostrare interesse nello sport .
Ѐ nell’attività sportiva, infatti, prima amatoriale poi a livello agonistico, che Raphy ha trovato modo di esprimere le sue migliori potenzialità, la voglia di portare a casa risultati. E di risultati, a casa e nel suo Paese, ne ha portati parecchi. Medaglie, come il doppio oro nella maratona, in Sudafrica lo scorso anno e poi quest’anno a febbraio, e importanti qualificazioni, come quella ai giochi paralimpici di Tokyo 2020 (spostati al 2021 a causa della pandemia).
Lo abbiamo intervistato, con lunghe chiacchierate su Whatsapp, tra un allenamento e l’altro.
Se ti chiedessero di definirti in tre parole, cosa diresti?
Un esempio da seguire, un’aspirazione, una voce per chi non ha voce.
Quando hai iniziato a praticare sport e la corsa in carrozzina?
Ho cominciato nel 1993 come giocatore di pallacanestro e nel 2001 come paratleta.
Quanto è stato difficile cominciare la tua attività sportiva?
Allora in Ghana non c’erano tante sedie a rotelle per chi volesse fare basket in carrozzina e in realtà non erano neanche in tanti quelli interessati a fare sport. A quell’epoca eravamo solo in cinque. Man mano che andavo avanti, e la mia diventava un vera e propria carriera, gli sforzi e le sfide più difficili erano trovare denaro per acquistare la carrozzina da gara o i biglietti per partecipare alle gare e alle qualificazioni in altri Paesi. Ecco la mancanza di sponsor è stata una bella sfida.
Che tipo di battaglie hai dovuto affrontare nella tua vita legate al fatto di dover convivere con una disabilità?
Discriminazione e stigma sociale sono all’ordine del giorno per una persona disabile. Molto spesso mi si teneva in disparte, e se per esempio c’erano giovani che stavano giocando a me non era permesso entrare nel gruppo. Mi consentivano di fare solo quello che a loro avviso avrei potuto nelle mie condizioni, non consentendomi invece tante cose in cui avrei potuto e voluto sfidarmi.
Nel tuo Paese in che modo le persone e la società affrontano la disabilità?
Alcuni credono che sia una maledizione magari dovuta all’attività malefica di qualcuno, mentre altri ritengono che sia disgrazia abbattutasi sulla famiglia, un inutile fardello.
In che modo la percezione delle disabilità nel tuo Paese ha influenzato (se lo ha fatto) la tua vita?
Sì l’ha certamente influenzata, sono cresciuto senza credere in me stesso. Però sono stato fortunato ad avere una famiglia credente. Inoltre, i miei genitori hanno sempre trattato me e le mie due sorelle allo stesso modo. E sebbene non fossimo ricchi, in casa mia c’è sempre stato qualcosa di unico: vale a dire amore e rispetto l’uno per l’altro.
Puoi parlarci del Go Get Dem Wheelchair Racing Club? E quanti club ci sono in Ghana per gli atleti con disabilità?
Il Club è nato dalla mia idea di volere coinvolgere giovani disabili e atleti promettenti ma anche di stimolare nel mio Paese la nascita di altri Centri per persone con disabilità. Il Go Get Dem Club è stato il primo Club in Ghana, ora ce ne sono cinque.
Quanti atleti con disabilità ci sono in Ghana? In quale sport sono i migliori?
In Ghana gli atleti con disabilità sono poco più di 350. Circa 250 tra uomini e donne praticano corsa in carrozzina e basket. Una ventina praticano il tennis e poi ci sono 7 club di cui fanno parte quasi 100 calciatori con amputazioni. Pochi si dedicano all’atletica.
Quante ore al giorno ti alleni?
Mi alleno due ore al giorno, tutti i giorni.
Ricordi la tua prima medaglia vinta? Cosa hai provato?
La mia prima medaglia risale al 2007, in Algeria ai IX Giochi panafricani. Lì, per la prima volta ho vinto per il mio Paese una medaglia d’argento. Ero così entusiasta di far parte dei vincitori di medaglie di quell’anno. Impossibile dimenticare.
In Ghana si vedono molte persone (anche giovani) con disabilità mendicare per le strade. Lo sport può aiutarli? C’è una possibilità anche per loro? La tua vita e il tuo successo possono essere di esempio per loro?
Lo sport è uno dei più potenti strumenti per cambiare tantissime cose come per esempio la percezione della disabilità e della persona disabile. Il motivo è semplice: lo sport incoraggia le persone ad andare sempre avanti. Oggi posso dire che, sì, sono diventato un modello a cui aspirare per molti di loro, una motivazione.
Qual è il successo di cui vai più fiero?
Sicuramente rappresentare il mio Paese nei tre giochi paralimpici. Sono stato ad Atene nel 2004, a Pechino nel 2008, a Londra nel 2012.
Ricordarcelo tu qual è il tuo record personale che hai battuto in gara
Durante il Desert Challenge Games in Arizona, ho battuto il record africano per la categoria T54 nella gara dei 100 metri e ho segnato anche la mia migliore performance, 14.22 secondi.
Infatti, durante il World Para Athletics Grand Prix in Arizona, negli Stati Uniti, grazie a questi risultati ti sei qualificato per le Paralimpiadi di Tokyo 2020. I Giochi ora sono stati posticipati al 2021. Non vedi l’ora di partecipare, vero?
Sì, è proprio così, per me rappresentare ancora una volta il mio Paese sul palcoscenico mondiale sarà un sogno che diventa realtà.
Hai preso parte a tre Giochi Paralimpici. Qual è l’esperienza principale che hai tratto da queste gare?
L’esperienza più grande è stata vedere come gli altri allenatori trattano gli atleti.
Cosa intendi?
Ho visto trattare gli atleti con rispetto, li ho visti valorizzati per le loro qualità. Si capiva che gli atleti erano importanti per i loro allenatori. Il nostro, invece, è un background difficile, dove è difficile trovare qualcuno che si dedichi a te, ai tuoi allenamenti e magari senza guadagnarci nulla. Vedere un altro modo di essere allenatore e atleta mi ha aiuto molto, mi ha motivato ed ispirato anche a parlare con chi allena me e altri come me. Gli ho detto: siamo atleti e dobbiamo essere trattati da atleti e rispettati.
Qual è il messaggio che vorresti condividere con i nostri lettori?
Il mio messaggio è uno, semplice: offrire alle persone disabili le stesse, identiche opportunità date a tutti gli altri.
Raphy, tu sei sposato, anche tua moglie, Amdiatu Issaka, è in carrozzina e gioca a basket. E avete tre bellissimi bambini.
Quella è stata una sfida, una vera e propria sfida. Il nostro desiderio era quello di cambiare ciò che è il modo di pensare comune qui in Ghana, ma direi in tutta l’Africa, vale a dire che da due persone disabili nascono bambini disabili. Invece… Abbiamo Kelly la primogenita di 15 anni, Raphael come me e il piccolo Paul.
[Link all’articolo in inglese]