poesia uganda

“Sono un rifugiato nella mia mente”, la perdita dell’appartenenza

In questo testo poetico Alex Kitaka racconta il senso di estraneità rispetto al mondo e persino a se stessi tipico del disagio mentale, dei cattivi pensieri che come mosche ronzano nella testa a ripeterci che non c’è posto per noi, da nessuna parte. Ma Alex ci ricorda che c’è sempre la possibilità di “fiorire” e la condivisione è un grande strumento di guarigione: “Ritengo che la scrittura offra un luogo sicuro per lasciarsi andare e far uscire quei sentimenti che minacciano la salute mentale di un individuo. Come sempre, la scrittura è terapeutica!”

“Voglio umanità!” Voglio le piccole cose che tu ti vergogni di fare

“Immagina di raccogliere tutto il tuo coraggio e di venire da me. Da me, una ragazza sconosciuta seduta da sola a mensa. Da me, quella signora apparantemente molto occupata con una tazza di caffè fumante al bar. Da me, quell’adolescente piena di arie, assediata dagli ammiratori, l’invidia di tutte. Immagina di venire da me e dirmi “ciao. Immagina di raccogliere tutta la tua empatia e di venire da me…” Inizia così questa poesia che pubblichiamo su gentile consessione dell’autrice. Parla di solitudine, di abbandono, di ricerca dell’altro.

“I deboli pilastri della sanità mentale”, mettere a tacere il cervello

“La mia dottoressa entra, tende il braccio guantato, macchiato dai silenziatori multicolore, con cui vuole impasticcarmi, per rinsaldare i deboli pilastri della mia sanità mentale”. Ѐ la prima strofa di una poesia dell’autore ugandese che ha dedicato molti testi al tema in questione. In arrivo altre opere e raccolte che indagano timori e solitudini della malattia mentale. Pubblichiamo la traduzione in italiano e l’originale in inglese.