Tabù della pazzia, se tradizioni e linguaggio vincono sulla scienza
[Traduzione a cura di Luciana Buttini dall’articolo originale di
All’inizio di agosto, il Governo kenyota ha ricevuto un rapporto abbastanza esaustivo sulle questioni riguardanti la salute mentale nel Paese. A elaborare il documento è stata la task force per la salute mentale guidata dal rinomato psicologo Frank Njenga
Il rapporto ha tracciato un quadro desolante. È risultato, infatti, che dall’inizio della pandemia del nuovo coronavirus, nel Paese sono aumentati vertiginosamente i casi di malattie mentali. La task force ha consegnato il rapporto lo scorso luglio dopo aver lavorato con competenza per otto mesi su una questione che oggi, in Kenya, appare di cruciale importanza.
Malattie e disabilità psicosociale risultano essere le cause principale dei problemi legati alla salute mentale in Kenya: questa la sintesi del rapporto da parte del ministro della Sanità, Mutahi Kagwe. È però paradossale che i cittadini kenyoti interpretino ancora la salute mentale e i problemi a essa associati attraverso prospettive spirituali e culturali.
Nella maggior parte delle società africane ancora oggi, circolano numerosi racconti su quelle che si pensano essere le vere e profonde cause delle malattie mentali. Ad esempio, la maggior parte delle culture fa ricorso ai propri sistemi di conoscenze e alle credenze locali per interpretarle.
Nella lingua swahili per indicare una persona affetta da problemi mentali si utilizza una locuzione piuttosto letterale: “Mwenda wazimu”. Quest’espressione può essere tradotta liberamente come “qualcuno posseduto dagli spiriti o qualcuno che ha intrapreso un viaggio nel mondo degli spiriti”.
“Mzimu” e “mizimu” sono, in pratica, uno o più spiriti ancestrali. “Wazimu” significa “pazzia”, un termine che indica semplicemente lo stato di chi ha seri problemi mentali.
Il fatto che gli individui con problemi mentali trasgrediscano alle regole e abbiano comportamenti sociali inaspettati porta spesso alla nascita dello stigma. Tali manifestazioni di strani comportamenti o possessione spirituale vengono spiegati in termini di taboo, maledizioni e altri fenomeni paranormali.
Spesso si sente dire che un individuo affetto da disturbo mentale è vittima di una punizione, una maledizione o dell’espiazione di cattiverie di uno sconosciuto antenato. La Bibbia è persino citata come fonte nelle spiegazioni di queste punizioni generazionali.
Media popolari come la televisione, la radio e anche i film rappresentano i principali mezzi di perpetuazione di questo stigma sociale nei confronti delle persone con malattie mentali.
Per esempio, i film nigeriani e quelli tanzaniani mettono in scena le malattie mentali come una punizione da parte delle divinità. Spesso, nel Continente la Scienza viene relegata ai margini mentre le Arti regnano sovrane sul tema della salute mentale.
Infatti, la letteratura africana è piena di romanzi che affrontano i temi della pazzia e dell’infermità mentale nella società moderna. Arrow of God (La freccia di Dio) di Chinua Achebe, The Innocence of the Devil (L’innocenza del diavolo) di Nawal El Saadawi e A question of power (Una questione di potere) di Bessie Head, offrono trattazioni letterarie classiche dei cosiddetti argomenti tabù.
Altri giganti della letteratura che hanno stupito i lettori per i loro approfondimenti letterari sull’argomento sono il gadfly nella letteratura dello Zimbabwe, il compianto Dambudzo Marechera e la controversa performance del poeta sudafricano Lesego Rampolokeng. Quest’ultimo ha persino cercato di inventare una forma di linguaggio per le persone affette da infermità mentale.
La sua lirica di protesta è come una continua musica sparata sulla superficie della coscienza moderna. La poesia, dal titolo curioso Habari Gani Africa, recita così:
bloodstains on morguesheet sweat of impotence/ born to die lie dead in the street the lie of omnipotence/ scarstripes on the soul sign of demention/delusion look of drugged minds hidden behind illusion/ & outside the grenade-reality-cracked window the botched moment /licemen of the west bearing gifts rearing rifts of torment/come to perform reconciliation a land’s abortion operation/nuclear wasted to the world’s acceptance….
macchie di sangue sulla lastra dell’obitorio trasudano d’impotenza/ nati per morire giacciono morti in strada la menzogna dell’onnipotenza/segni di cicatrice nell’anima, segni di demenza/sguardi delusi di menti drogate nascosti dietro l’illusione/& fuori la finestra rotta dalla realtà delle granate, il momento fallito/uomini occidentali spregevoli che portano regali provocando contrasti di tormento/vengono per mettere in atto la riconciliazione, un’operazione di aborto della terra/ il nucleare sprecato per l’accettazione del mondo…
Il tono e l’atmosfera creati in questa dizione cacofonica rivelano un mondo fragile che sta andando costantemente a rotoli. Il testo rispecchia i frammenti di una società metaforica il cui riflesso va al di là delle espressioni del linguaggio comune.
In un momento di eccitazione artistica come questo, la poesia diventa una celebrazione del caos in quanto luogo di pensieri profondi. Rampolokeng dà voce alla domanda sollevata un tempo dallo scrittore kenyota Francis Imbuga: cosa succederebbe se la follia di una nazione intera incontrasse la mente di un individuo?
Eretti su tali gradini della coscienza con questa voce dalla generazione perduta dell’apartheid in Sudafrica, i cittadini kenyoti dovrebbero aprire un discorso pubblico sui problemi mentali che oggi ci circondano. Non è più un segreto, infatti, che molte famiglie stanno lottando nel vero senso del termine contro il peso psicologico causato dalla pandemia di Coronavirus.
Gli ultimi rapporti sul rapido aumento della violenza domestica e sul disagio sociale sottolineano l’urgenza di queste preoccupazioni.
Ovviamente, il tema della malattia mentale non deve essere più nascosto dietro le quinte di una garbata inerzia. Dobbiamo affrontarlo attraverso il punto di vista degli artisti e i consigli degli esperti clinici come Frank Njenga e il suo team.
Parlare di quest’argomento in una prospettiva tradizionale di tabù e stigma significa aggravare un disastro in corso. I cittadini kenyoti che combattono con i problemi di malattie mentali non dovrebbero essere dimenticati, anche ora che la pandemia di Covid-19 sta dilagando nel Paese.
Nell’arte, nei media e nella scienza, bisogna compiere uno sforzo collettivo per affrontare la questione della salute e delle malattie mentali sia nella sfera pubblica che privata delle nostre vite.
Justus Kizito Siboe Makokha è ricercatore presso l’Institute of African Studies dell’Università Kenyatta e professore di Letteratura e Teatro presso il dipartimento di Letteratura.