La fede, uno strumento di aiuto ai migranti durante le traversate
[Traduzione a cura di Luciana Buttini dall’articolo originale di Nicolas Parent pubblicato su The Conversation]
Nell’aprile del 2018, un catamarano capitanato da due trafficanti brasiliani lasciava l’isola di São Vicente, nell’arcipelago di Capo Verde, dirigendosi verso le coste del Brasile attraverso l’Oceano Atlantico. A bordo dell’imbarcazione erano presenti 25 uomini provenienti dall’Africa occidentale, tutti disposti ad affrontare un viaggio pericoloso per cercare una vita migliore in un nuovo Continente.
Prima della partenza, il gruppo era stato informato del fatto che il viaggio sarebbe durato 21 giorni e per questo motivo era stato anche detto loro di portarsi dietro cibo, acqua e rifornimenti sufficienti per sopravvivere. Ma 18 giorni dopo l’inizio del viaggio, a seguito di un guasto al motore dell’imbarcazione, rimasero bloccati in mare. Al 27esimo giorno, le scorte alimentari si esaurirono e i passeggeri assetati, in preda alla disperazione, iniziarono a bere la loro stessa urina pur di idratarsi. Per sopravvivere, trovarono anche un modo per pescare e sfamarsi con il pesce.
Ma presto si presentarono nuove difficoltà: la rottura dello scafo e dell’albero dell’imbarcazione. Nonostante avessero fatto tutto il possibile per riparare il catamarano, i migranti non erano più padroni del loro destino. Sarebbero state infatti le correnti oceaniche a dettare le loro possibilità di sopravvivere e di raggiungere la terraferma. O forse no.
Malgrado le scarse probabilità, dopo aver trascorso 30 giorni in mare ed essere stati individuati e soccorsi da un peschereccio, i migranti riuscirono a mettersi in salvo. Una volta sbarcati a São Luis, in Brasile, vennero intervistati e, riguardo all’accaduto, attribuirono gran parte del merito all’intervento divino. Tutti facevano riferimento alla sfera religiosa, alludendo alla presenza di un essere superiore che combatteva al loro fianco.
La loro storia ci ha colpiti fortemente al punto che io e la dottoressa Luisa Feline Freier [professoressa associata di Scienze Politiche presso l’Universidad del Pacífico in Perù, NdT] abbiamo iniziato una collaborazione per indagare più a fondo sulla questione, insieme al giornalista Walker Dawson.
Nel corso degli anni, gran parte del mio interesse scientifico si è concentrato sulla dimensione culturale della migrazione forzata. Negli ultimi dieci anni circa, poi, si è sviluppato un crescente interesse per gli aspetti della salute mentale dei migranti. Resta invece poco esaminato il ruolo rivestito dalla religione in questa prospettiva.
Strategie di coping religioso
Per il nostro studio, abbiamo intervistati 3 dei 25 migranti presenti sul catamarano: Omar dalla Sierra Leone, Abeo dalla Nigeria e Moussa dalla Guinea (i nomi sono stati cambiati per motivi di riservatezza). Tutti di religione musulmana, questi migranti hanno ripetutamente descritto Allah come benevolo e protettivo, in particolar modo mentre parlavano dei principali momenti di crisi vissuti durante la traversata.
In linea con un’altra ricerca che mette in luce l’ampio ricorso a un coping religioso positivo [per coping si intendono le strategie messe in atto dall’individuo per far fronte a situazioni o eventi stressanti, NdT] da parte dei musulmani, i nostri risultati rivelano che la religione può essere uno strumento per affrontare stress, ansia e paura, tre sentimenti che insorgono soprattutto nel corso di viaggi migratori estremi e molto rischiosi.
Abbiamo analizzato le nostre trascrizioni delle interviste facendo ricorso alla tipologia di strategie di coping religioso fornite nel contesto dell’RCOPE, un questionario ben noto impiegato per studiare e classificare le forme di coping religioso e spirituale.
Secondo i suoi autori, esistono diversi modi per cui la religiosità si configura come una risorsa preziosa quando si affrontano situazioni difficili. Il sentimento religioso può essere impiegato per:
- attribuire un significato a un fenomeno altrimenti incomprensibile;
- fornire un senso di controllo in presenza di eventi turbolenti;
- offrire conforto quando una persona sta attraversando un momento di sofferenza;
- costruire intimità con la propria fede e con gli altri;
- iniziare un cammino di trasformazione di vita a seguito di un periodo difficile.
Ad eccezione dell’ultimo punto, tutti questi elementi di coping religioso figuravano nei nostri dati ma il processo di creazione di significato del coping religioso è l’aspetto che è emerso di più. I migranti spesso descrivevano le difficoltà incontrate nel corso dei viaggi come un atto di Dio o come parte del suo grande disegno.
Viaggi rischiosi, religione e salute mentale
Gli studiosi di fenomeni migratori concordano ampiamente sul fatto che, sia che cerchino una vita migliore sia se che scappino da violenze e persecuzioni, i migranti, in particolar modo quelli provenienti dal Sud del mondo, dalla fine della Guerra Fredda si sono trovati ad affrontare politiche sempre più restrittive in materia di immigrazione.
In questo senso, sono stati innalzati muri e recinzioni, costruiti centri di detenzione e installate sofisticate tecnologie di sorveglianza nelle zone di confine. Per adattarsi a questi cambiamenti, le vecchie rotte migratorie sono state sostituite da altre più lunghe e rischiose.
Sebbene il nostro caso di studio non sia stato certo il primo episodio registrato di migrazione africana clandestina verso l’America Latina, passando per il corridoio transatlantico, è probabile che negli anni a venire assisteremo a un aumento di queste traversate.
Ciò è in gran parte dovuto a una sempre maggiore ricerca di “sicurezza” e conseguente criminalizzazione dei migranti nelle destinazioni a Nord. Questa situazione ha portato alla comparsa di una varietà di rotte migratorie tra continenti e da Sud a Sud.
Tuttavia, in un articolo pubblicato lo scorso luglio che include una meta-analisi di studi empirici sul rapporto tra il fenomeno della migrazione e quello della salute mentale, è stato ampiamente dimostrato come i rischi elevati derivanti da queste nuove rotte, sempre più diffuse, sono la causa di sentimenti di stress, ansia e trauma. In questo modo i meccanismi di coping dei migranti diventano un campo di ricerca sempre più importante.
Come è emerso dal nostro studio, la religiosità rappresenta una significativa strategia di coping adattiva durante il processo migratorio. In tal senso, sono necessari interventi clinici più olistici che includano gli aspetti spirituali nell’approccio alla salute mentale dei migranti.