Kenya: a rischio la salute mentale, tra le cause c’è la crisi climatica
Alluvioni, inondazioni e siccità estrema sono solo alcuni dei modi in cui la crisi climatica e ambientale si manifesta, sempre di più e particolarmente in alcune zone del mondo. Ciò sconvolge l’esistenza di intere comunità: perdita di casa, di familiari, di mezzi di sostentamento.
Nel territorio africano particolarmente, problemi di salute mentale legati alla crisi climatica sono stati riconosciuti in Kenya, in Nigeria, in Ghana, in Etiopia.
Nel 2019 il Governo kenyota ha creato la Task-force on mental health, una collaborazione tra ricercatori, accademici, giovani specialisti e professionisti, con l’obiettivo di studiare lo status della salute mentale nel Paese e proporre soluzioni e sistemi di prevenzione. Si tratta di un’emergenza nazionale. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il Kenya si trova al 4° posto in Africa per il maggior numero di problemi legati alla salute mentale.
L’aumento di suicidi, numerosi casi di stress post-traumatico, abuso di sostanze e depressione sono le problematiche più frequenti. L’abuso di alcool per esempio, è molto comune nella popolazione tra i 18 e i 29 anni e 1 persona su 10 in Kenya soffre di disturbi mentali.
La task-force on mental health raccomanda la considerazione della malattia mentale come un’emergenza di proporzioni epidemiche: “l’aumento di suicidi, violenza di genere e altre condizioni psichiche sono chiari indicatori di bisogni radicati nella società non ancora soddisfatti. Inoltre, stigma e discriminazione contribuiscono a perpetuare la marginalizzazione di persone con disturbi mentali o disabilità psicosociali, intellettuali e cognitive”.
Il 75% della popolazione non riesce ad accedere alle cure, anche perché sono presenti solo 71 psichiatri su una popolazione di 50 milioni di persone. Questo vuoto di specialisti non permette che molti dei disturbi vengano identificati e trattati correttamente. Inoltre, solo 22 province su 47 offrono adeguate strutture sanitarie, difficilmente raggiungibili da chi non può permettersi lunghi spostamenti.
Eventi stressanti come quelli causati dai disastri ambientali aggravano le condizioni psichiche della popolazione o causano veri e propri disturbi mentali, difficili da riconoscere e curare, soprattutto quando si è costretti a rispondere a bisogni immediati – procurarsi rifugio, cibo o essere costretti a migrare.
Secondo lo psichiatra Boniface Chitay, in un’intervista rilasciata a Climate Home News, la perdita della casa, dei familiari, del lavoro e la migrazione forzata portano ad alti livelli di depressione, schizofrenia e abuso di sostanze. Dover affrontare da un giorno all’altro un cambiamento enorme, perdendo la quotidianità a cui erano abituati, ha conseguenze sullo sviluppo psicofisico e sul benessere, soprattutto dei bambini.
Tra il 2019 e il 2020 lunghe e pesanti piogge hanno amplificato le inondazioni nella Rift Valley del Kenya e nelle zone limitrofe, creando così circa 5.000 profughi. Case, scuole, centri di salute sono stati completamente sommersi, costringendo le persone a vivere in tende o edifici abbandonati, oppure a cercare aiuto tra amici e parenti, o da sconosciuti.
Alcuni dati affermano che nel novembre del 2019 sono morte circa 120 persone e 18.000 invece sono state costrette a spostarsi a causa delle inondazioni. Nel complesso, circa 160.000 persone ne hanno subito gli effetti. Nella regione Baringo, sempre nel 2019 sono state evacuate circa 3.087 persone, incluse più di 85 persone disabili e anziani.
Il report finanziato da International Women’s Media Fundation per Climate Home News, raccoglie diverse testimonianze di persone che hanno subito direttamente gli effetti dei disastri avvenuti tra il 2019 e il 2020. Le interviste dimostrano quanto sia essenziale in questi casi prevedere un supporto psicologico che accompagni le comunità nella ripresa.
Jeremiah Cheptirim, un uomo di 76 anni costretto a spostarsi già 3 volte dal 2018, ora vive con i suoi figli e le rispettive famiglie in un rifugio molto freddo, circondato dagli escrementi degli animali. Durante le diverse evacuazioni, come per gli altri, non ha ricevuto alcun sostegno psicologico. La morìa di animali causata dalle inondazioni e dalla siccità rappresenta non solo una perdita per la biodiversità, ma anche di un vero e proprio mezzo di sostentamento per le persone del posto.
Una delle intervistate, Pauline Yatar – originaria della zona di Baringo e madre di sette figli – afferma di aver girovagato per due settimane in uno stato di semi-trance dopo aver perso completamente la fattoria dove viveva e con la quale manteneva la propria famiglia. Tutto ciò che pensava di poter garantire ai suoi figli, ora non le è possibile. Al trauma della perdita si aggiunge la preoccupazione per la precarietà della vita futura, soprattutto dei bambini, che secondo le madri presentano chiari segni di disagio psichico, come urla durante la notte o difficoltà e peggioramento del rendimento scolastico.
La ricerca “Climate shock responsiveness of the Kenya health system” condotta dall’organizzazione Mantains -Research supporting social services to adapt to shocks, afferma che le zone aride e semi aride del Kenya sono soggette a sempre più frequenti eventi climatici catastrofici, che insieme ad altri fattori sociali contribuiscono a causare fragilità e insicurezza rispetto all’accesso all’acqua e al cibo, provocando malnutrizione e morte.
Lo scienziato climatologo Abubakar Salih Babiker, del Climate Prediction and Application Centre (Intergovernment Authority and Development in East Africa) conferma la tesi, sottolineando che eventi climatici estremi sono destinati a crescere e avvengono sempre più velocemente rispetto alla capacità della popolazione di rimettersi in piedi. Questo perché le temperature continuano ad aumentare e la parte dell’Oceano Indiano vicina alla costa orientale dell’Africa si è surriscaldata più in fretta, causando frane, smottamenti, inondazioni e siccità nei territori circostanti.
La fragilità delle condizioni sociali, economiche e ambientali che si crea dopo questo genere di disastri contribuisce anche all‘aumento di lavoro e sfruttamento minorile.
Nel giugno del 2020, si sono registrate circa 252.384 persone evacuate in 35 regioni del Kenya, con la presenza di circa 75 campi profughi dove la popolazione trova rifugio, particolarmente situati nella zona ad Ovest del Paese e nelle coste. La vita nei campi, sebbene la presenza di organizzazioni e volontari ne limiti il disagio, è caratterizzata spesso da fragilità e difficili condizioni di esistenza e convivenza.
Nonostante i numeri confermino l’emergenza dichiarata dalla Task-Force on mental health, il budget investito nella sanità mentale è dello 0,1%. A maggio del 2021, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha quindi riunito più di 100 esperti per riflettere sullo status della salute mentale in Kenya, nell’ottica del progetto ONU Non-communicable diseases, per supportare i Governi nel trattamento, riconoscimento e prevenzione dei disturbi mentali, attraverso un’azione multisettoriale. Sono stati effettuati report sui costi economici e sociali e sugli investimenti effettuati e da effettuare per affrontare l’emergenza.
Gli effetti del cambiamento climatico sulla salute mentale sono reali, ma solo recentemente la ricerca accademica comincia a specializzarsi su questo tema. Lisa Page e Louise Howard, ricercatrici dell’Istituto di Psichiatria del King’s College London, sostengono che la crisi climatica ha già e avrà in futuro un impatto disastroso sul benessere psichico e per questo la tutela della salute mentale deve accompagnare le politiche di sostegno e prevenzione attuate dai Governi.