Africa, il dramma della fuga dei cervelli nel settore psichiatrico
[Traduzione a cura di Luciana Buttini dell’articolo originale di Victor Makanjuola e Matthew M. Heaton pubblicato su Africa Is a Country]
A partire dagli anni ’80, la fuga dei cervelli dei medici professionisti dai Paesi africani verso nazioni ricche in Europa, Nord America e Medio Oriente è stata una tendenza particolarmente pronunciata.
Come rilevato dagli studiosi Bibilola D. Oladeji e Oye Gureje, nel 2011 sono stati più di 17.000 i medici africani che hanno esercitato solo negli Stati Uniti, e oltre i due terzi di essi avevano studiato Medicina in Africa. Di loro, i due terzi provenivano dalla Nigeria o dal Sud Africa, i due Paesi che vantano i più ampi sistemi di formazione medica del Continente.
Anche gli psichiatri hanno costituito un pezzo importante di questo enorme flusso migratorio. Attratti da salari più alti, strutture migliori, opportunità di crescita professionale e prospettive di stabilità a lungo termine, sono stati spinti a cercare lavoro al di fuori dell’Africa.
L’espressione fuga dei cervelli è diventata un luogo comune anche per descrivere il processo di emigrazione di lavoratori altamente qualificati dai Paesi in via di sviluppo verso gli Stati più industrializzati del mondo post-coloniale.
Il concetto è particolarmente importante per comprendere la persistente situazione di sottosviluppo presente nei Paesi dell’Africa subsahariana, non tanto per la carenza di competenze nel Continente quanto per il fatto di essere un evento principalmente a favore delle nazioni ricche.
Alla stessa stregua del fenomeno della fuga dei muscoli, che ha caratterizzato in gran parte del Continente il periodo della tratta atlantica degli schiavi o dell’esaurimento delle risorse naturali durante la fase del colonialismo europeo, la fuga dei cervelli ha avuto conseguenze a lungo termine sullo sviluppo interno dei Paesi africani e sulla loro posizione nell’economia globale.
L’impatto della fuga dei cervelli sul servizio di assistenza psichiatrica in Africa può essere visto attraverso l’esempio della Nigeria, uno dei pochi Paesi dell’Africa subsahariana ad avere ospedali universitari che forniscono formazione medica accreditata in materia.
Il primo psichiatra qualificato, nigeriano di nascita, è stato Thomas Adeoye Lambo. Lambo si era formato all’Università di Birmingham e al Maudsley Hospital (NdT Ospedale psichiatrico nel Regno Unito), prima di fare ritorno nel 1954 nella sua terra natale dove ha cominciato ad esercitare la professione presso la clinica Aro Mental Hospital, fondata lo stesso anno del suo ritorno.
Lambo e il suo assistente Tolani Asuni hanno contribuito negli anni ’60 e ’70 allo sviluppo di buona parte del comparto di Psichiatria in Nigeria e negli anni ’80 diverse Università nigeriane hanno iniziato a formare professionisti del settore. Scopo di questi progetti era quello di costituire in loco una forza lavoro qualificata nel campo della salute mentale. Inoltre, anche gli studenti di altri Paesi dell’Africa occidentale provenivano dalle facoltà di Psichiatria degli Istituti nigeriani.
La forza lavoro per l’assistenza psichiatrica in Nigeria è cresciuta a passo lento ma costante, passando da soli 3 psichiatri nel 1955 a 25 nel 1975, fino ad arrivare a 100 unità nel 2001; questo nonostante il forte impatto della fuga dei cervelli sul settore.
Ad oggi, la Nigeria conta all’incirca 250 psichiatri al servizio di una popolazione di quasi 190 milioni di abitanti. Al tempo stesso, uno studio del 2010 ha rivelato che in quell’anno erano 384 gli psichiatri nigeriani che lavoravano in nazioni come Stati Uniti, Inghilterra, Australia e Nuova Zelanda, una cifra che supera di oltre il 50% il totale stimato dei medici presenti in Nigeria.
Questa fuga dei cervelli da parte degli psichiatri ha avuto delle conseguenze significative. Oltre al peggioramento del rapporto numerico tra psichiatri e pazienti, questo fenomeno rischia di indebolire gravemente il continuo ciclo di riproduzione di una risorsa limitata in quanto i nuovi psichiatri qualificati e gli specializzandi senior vengono persuasi o incoraggiati a trasferirsi all’estero con il pretesto di ottenere opportunità di formazione, da cui poi non tornano più.
Oltre agli psichiatri, anche gli infermieri che operano nei reparti di salute mentale stanno lasciando in massa il Continente attraverso pacchetti lavoro progettati per rendere facile e permanente il processo di emigrazione.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il tasso di emigrazione supera di gran lunga quello di produzione, causando un enorme deficit di risorse umane, uno dei principali pilastri del sistema sanitario.
In merito all’esodo dei medici dall’Africa verso il mondo economicamente sviluppato, sono diverse le ragioni esposte. A questo proposito, gli esperti Oberoi e Lin, le hanno raggruppate in due categorie: fattori endogeni ed esogeni. Tra i primi figurano elementi come cattive condizioni di lavoro, bassa remunerazione, assenza di soddisfazione professionale e sicurezza sul posto di lavoro con poche o nessuna opportunità di avanzamento di carriera; mentre tra i secondi vi sono pressioni sociali da parte dei familiari, prevalenza di disordini civili e conflitti armati con conseguenti elevati livelli di insicurezza.
Paradossalmente, i motivi che spingono gli operatori della salute mentale a emigrare all’estero sono gli stessi che con tutta probabilità contribuiscono a incrementare i tassi di disagio psicologico nelle loro comunità di origine, che a loro volta necessitano di migliore assistenza psichiatrica.
Dalla fine degli anni 2000, il Movimento per la Salute Mentale Globale ha cercato di migliorare le disparità di cura presente tra i servizi per la salute mentale nei Paesi in via di sviluppo, quali la Nigeria e altri Stati dell’Africa subsahariana.
Nella maggior parte dei casi, la riduzione del divario dipende fortemente dalla formazione ricevuta dai lavoratori meno qualificati, che potrebbero ritrovarsi a svolgere le mansioni dei professionisti molto esperti, un insieme di pratiche conosciute come task shifting. Questa logica nella sanità pubblica internazionale esiste da molto tempo, e viene largamente impiegata in molteplici contesti inerenti la diagnosi e il trattamento di infezioni da HIV e da AIDS.
Tuttavia, il suo utilizzo nelle cure psichiatriche è un po’ più controverso. In particolare, la salute mentale globale è stata ritenuta potenzialmente insensibile a fattori sociali e culturali, tanto che sono state importate pratiche e conoscenze elaborate in Paesi occidentali industrializzati che potrebbero non rispecchiare correttamente le credenze culturali autoctone o i determinanti sociali della salute, al tempo stesso mettendo da parte i sistemi sanitari locali.
Il task shifting è stato anche proposto come una strategia per attenuare le ripercussioni della fuga dei cervelli sul settore sanitario.
Nel corso di un riesame delle politiche messe in campo per fronteggiare la questione nei Paesi dell’Africa subsahariana, Edward Zimbudzi ha identificato alcune aree di possibile intervento. Tra queste il reclutamento etico, una tassa per la fuga dei cervelli o una compensazione per i Paesi di origine, l’aumento degli investimenti nel settore della formazione per un numero maggiore di professionisti, oltre al miglioramento della retribuzione degli operatori sanitari e in generale delle condizioni di lavoro, l’incremento del personale, la garanzia di una stabilità politica e l’incoraggiamento alle rimesse.
Eppure, lo studio conclude che “il task shifting ha ricevuto un notevole consenso in quanto si configura come l’opzione politica più appropriata e sostenibile al fine di ridurre l’impatto della fuga dei cervelli da parte dei professionisti sanitari africani.”
Sebbene alcune ricerche abbiano dedotto che il task shifting ha realmente colmato il divario a livello terapeutico, altre hanno evidenziato come esso non possa sostituire l’assistenza psichiatrica professionale a causa della mancanza, tra l’altro, di corrette supervisioni e formazioni per i lavoratori di livello inferiore.
Tuttavia, vorremmo presentare una critica alternativa al discorso del task shifting, in particolare per ciò che concerne la tendenza a normalizzare il fenomeno.
La salute mentale globale ha sempre privilegiato il senso pratico rispetto all’ideologia. In tal senso, tutto ciò che può essere fatto per colmare il divario a livello delle cure è presumibilmente meglio che non fare nulla.
Le origini della fuga dei cervelli da parte dei medici non costituiscono una priorità nell’ambito della salute mentale globale. Eppure le sue conseguenze sono alla base delle motivazioni solitamente addotte per “ampliare” la forza lavoro sanitaria per risolvere “l’assenza di cure” in un determinato settore, il che corrisponde effettivamente al motivo principale dell’esistenza dello stesso.
Ciò nonostante, volendo sostenere l’idea di un’azione immediata, l’applicazione del task shifting nell’ambito della salute mentale globale non fa che replicare la storia per cui lo sfruttamento a lungo termine delle risorse africane viene ignorato per concentrarsi piuttosto sugli interventi non statali a breve termine, finanziati dall’esterno e volti a fornire ciò che all’Africa “manca”.
Promuovere tra gli operatori sanitari dei gruppi inferiori il task shifting come il miglior modo per estendere i servizi di salute mentale nei Paesi a basso e medio reddito lascia intendere che queste nazioni non possano sperare di meglio; tutto ciò nonostante i miliardi di dollari persi dai Paesi africani per investire nella formazione di operatori sanitari altamente specializzati che continuano a curare i pazienti negli Stati ricchi.
Nel frattempo questi ultimi accettano di contribuire alla preparazione di caregiver meno qualificati al fine di colmare il gap delle cure causato in parte dalla fuga dei cervelli. Ciò implica che i Paesi africani possano cavarsela con molto meno rispetto ai Paesi più abbienti.
Infatti, in base al modello del task shifting, le malattie mentali gravi continuano a essere trascurate in quanto questa logica fa ben poco per incrementare la capacità di gestire queste situazioni.
Sebbene si tratti di un principio reale e piuttosto comune nell’ambito della salute mentale globale, esso asseconda involontariamente l’idea secondo cui alcune vite siano più importanti di altre e mette in discussione il valore relativo attribuito alla salute e alle esistenze dei cittadini dei Paesi africani in via di sviluppo rispetto al mondo sviluppato. Tutto questo rafforza e normalizza le disuguaglianze globali.
Mitigare la fuga dei cervelli da parte degli psichiatri deve concretizzarsi in un’operazione che non si limiti a colmare i divari rispetto alle cure.
In primo luogo, bisogna affrontare i problemi legati alle condizioni geopolitiche e macroeconomiche che hanno generato il divario. Pertanto lo sviluppo di servizi equi e sostenibili per la salute mentale di tutti gli africani rappresenta una questione politica, economica, morale ed etica di urgenza immediata e di portata storica.