Arteterapia per superare traumi. I casi RDC, Sierra Leone, Ruanda

Sovente quando si menziona l’arte nelle conversazioni generali ci si riferisce ad essa come ad un’attività riservata a ricchi collezionisti e intellettuali. Spesso non se ne vede il valore al di là dell’estetica. Tuttavia, l’arte e le sue tante declinazioni creative sono più di un semplice passatempo. I suoi vantaggi e applicazioni sono molti. Per alcuni può aiutare a sviluppare una maggiore consapevolezza del Sé, per altri è un mezzo attraverso il quale elaborare dolori ed esprimere sofferenze. Il processo di creazione dell’arte può divenire dunque una terapia.

L’impiego dell’arte come uno strumento efficace per migliorare il benessere psichico e mentale di persone affette da patologie come depressione, schizofrenia, bipolarismo o psicosi è stato comprovato da numerose ricerche scientifiche e sostenuto da enti internazionali come l’Organizzazione Mondiale della Sanità. L’esperienza delle arti aiuta infatti ad alzare i livelli di ossitocina, il cosiddetto ormone dell’amore, nell’ipotalamo.

Questo componente stimola la calma, la rigenerazione e la guarigione, è inoltre una sostanza essenziale per il corretto funzionamento del processo di riconoscimento e controllo delle emozioni. È stato ulteriormente dimostrato che il coinvolgimento in esercizi artistici attenui sentimenti quali la solitudine e la tristezza e faciliti la costruzione di relazioni sociali, in particolare fra individui che vivono in zone rurali o svantaggiate.

Impegnarsi in occupazioni come ascoltare musica, ballare o dipingere sono tutte associate al miglioramento nella gestione e prevenzione dello stress e dei disturbi post-traumatici in persone con problemi di salute mentale.

Per i pazienti con disturbo depressivo maggiore è stato scoperto che attività creative come la terapia con l’argilla riducono l’alessitimia, ossia la mancanza di consapevolezza emotiva. Tra adulti e bambini che hanno subito abusi sessuali, terrorismo, guerre e violenze studi hanno mostrato risultati incoraggianti riguardo il valore delle arti nella comunicazione del dolore e nel regolamento della nevrosi post-traumatica.

Opera dell’artista Ken Nwadiogbu, foto dell’utente Flickr Kian Shipway. Licenza CC con attribuzione

Un metodo alternativo per trattare la salute mentale in Africa

In Africa l’attenzione verso la salute mentale ricopre generalmente un ruolo secondario rispetto ad altri disturbi medici. In molti Paesi dell’Africa Subsahariana sono quasi totalmente assenti politiche e iniziative idonee allo sviluppo dei servizi e delle cure psichiatriche. Inoltre, la scarsità di informazione, le credenze popolari e lo stigma legato a questo tipo di problematiche hanno avuto un impatto importante sulla mancata diagnosi e il conseguente trattamento di queste patologie.

Ciò lascia spesso le persone affette da disturbi psicologici e mentali umiliate e completamente isolate dal resto della società. Se a questo aggiungiamo le difficoltà all’accesso a farmaci appropriati e personale qualificato a causa di difficoltà di natura principalmente economica, è evidente quanto sia ancora lunga la strada verso un reale supporto agli individui che soffrono di questa tipologia di malattie.

Potrebbe l’utilizzo dell’arte rappresentare un’opzione valida per sopperire a questo vuoto? Uno dei tanti vantaggi è la sua accessibilità. Chiunque può prendere carta e penna, iniziare a disegnare e perdersi nel processo. Eppure dipingere, scolpire, danzare sono tutte espressioni che, se accompagnate dal supporto di uno specialista, possono aiutare a sprigionare e incanalare emozioni represse e difficili da controllare divenendo un valido alleato al trattamento di questi disturbi.

In secondo luogo, l’arteterapia può essere facilmente impiegata in contesti sociali molto diversi fra loro. Questo perché pratiche affini a ciò che in Occidente viene definita come “arteterapia” si possono ritrovare in diverse parti del mondo. L’idea di associare all’arte capacità curative non è affatto estranea al panorama socio-culturale africano. In particolare, la danza e le arti visive sono parte integrante di molte tradizioni locali volte al risanamento fisico, mentale e spirituale.

Manifestazione a favore della sensibilizzazione verso la salute mentale in Nigeria. Foto dell’utente Wikimedia Damilare Adeyemi. Licenza CC con attribuzione

In molte società africane i rituali di guarigione che coinvolgono la danza svolgono un ruolo eccezionale nel trattamento dei sintomi associati al disagio psicologico. Sono davvero molti i possibili esempi. Fra i più noti, il rito terapeutico del ndeup in Senegal, la cerimonia dello zar – originaria dell’Etiopia e ora diffusa in tutto il Nord Africa, il voodoo in Benin (che ha avuto una fortissima influenza nello sviluppo della santeria e di altre tradizioni afro-caraibiche e afro-americane) o le astratte performance teatrali della Guinea.

Per quel che riguarda le arti figurative è interessante notare come l’utilizzo di manufatti artistici come strumenti per favorire o iniziare la guarigione sia largamente diffuso in tutto il continente africano. Vengono in mente i guaritori Yoruba in Nigeria che utilizzano una molteplicità di oggetti intagliati e statuine durante le loro sedute o i naiba utilizzati dai taumaturghi dell’etnia Kondo nella Repubblica Democratica del Congo per risvegliare i poteri curativi contenuti all’interno delle figure mikondi, parti indispensabili della medicina locale.

È evidente quindi come un approccio creativo e artistico al trattamento di traumi o patologie mentali possa essere efficacemente applicato e adattato in modo da poter accomodare contesti diversi in Africa. Tutto sommato si tratta di riscoprire e aggiornare, più che di introdurre da zero, questo modo di affrontare la malattia e i disturbo psichico.

Superare il trauma grazie al progetto Courage Au Congo in Nord Kivu

Fondata nel 2010, Colors of Connection è un’organizzazione che si pone di utilizzare l’arte come mezzo per aiutare gli individui a superare i traumi  causati da abusi e violenze post-conflitti supportando le comunità colpite attraverso l’espressione creativa. L’organizzazione lavora in zone ad alto rischio come campi profughi in Mali e zone della Liberia pesantemente impattate dalla guerra civile.

Il progetto Courage Au Congo  avviato nel 2016 a Goma, capoluogo del Nord Kivu, è un esempio evidente di come l’arteterapia possa divenire strumento per la gestione e il trattamento di diversi disturbi mentali in persone che sono sopravvissute a eventi drammatici.

Lo stato di violenza e instabilità nella regione del Nord Kivu continua da decenni. Tuttavia, si è andato intensificandosi dal 1996 a causa del braccio di ferro tra diversi gruppi armati per il controllo delle risorse minerarie di cui è ricca la regione. Il Congo – per esempio – è il primo bacino al mondo per l’estrazione di coltan, minerale essenziale per la produzione di apparecchi tecnologici e con tutta probabilità presente anche nel dispositivo che stai utilizzando per leggere questo articolo.

Progetto di arteterapia promosso dall’ONU a Goma in Nord Kivu. Foto dell’utente Flickr MONUSCO Photos. Licenza CC con attribuzione

Uno degli aspetti che hanno reso tristemente nota la crisi in Nord Kivu è l’uso dello stupro come arma di guerra, impiegato dai numerose unità ribelli per intimidire, umiliare, dominare e seminare il terrore in maniera sistematica sulla popolazione civile.

Statistiche pubblicate da Human Rights Watch e dal Norwegian Refugee Council indicano che più di 6 milioni di donne, ragazze e bambine sono state brutalmente violentate nel Congo orientale dall’inizio degli scontri. Le sopravvissute sperimentano danni psicologici devastanti come lo sviluppo di fobie, disturbi da stress post-traumatico, depressione e ansia, oltre che lo stigma e l’isolamento sociale.
Il progetto mira a coinvolgere ragazze e adolescenti vittime di abusi. Le attività sono specificatamente volte a allenare parti diverse del cervello a livello sensoriale e cinestetico in modo da influenzare l’autoregolazione e la messa a fuoco delle emozioni.

Attraverso terapie psicosociali riflessive basate sull’arte, svolte sia in gruppo che singolarmente, le partecipanti apprendono abilità come la pittura e attraverso di esse hanno modo di metabolizzare il loro trascorso al fine di affrontare e trattare i disturbi mentali provocati dalle violenze di genere a cui sono state sottoposte

“Goma è una comunità ancora traumatizzata da tutto ciò accaduto durante la guerra e che continua ad accadere, stupri, violenze, i modi in cui le persone sono morte – credo che la popolazione sia sotto shock. Ma l’arte può guarire. Dona gioia. Quando vedi un disegno o un’immagine positiva si diventa felici. Penso che l’arte possa essere un modo per guarire.” (membro del progetto CAC, Post-Project Evaluation).

Il rapporto del progetto indica come a seguito della terapia le partecipanti abbiano manifestato un netto miglioramento nella loro capacità di costruire relazioni interpersonali e una diminuzione degli attacchi di ansia e\o panico. Esse hanno inoltre progettato e sviluppato una serie di opere pubbliche, sotto forma di graffiti e murales, per sensibilizzare la popolazione  riguardo al problema e mettere in atto una campagna di prevenzione.

Anche un recente studio condotto dall’ Università di Sheffield ha mostrato come le arti performative possano essere impiegate per favorire il dialogo ed educare riguardo il problema delle violenze di genere. La ricerca si focalizza sulla Sierra Leone, Paese che – come il Congo – riporta un tasso elevatissimo di stupri, oltre il 62% delle donne sono infatti vittime di abusi. Il progetto incoraggiava membri di entrambi i sessi a partecipare a esibizioni che includevano la danza, il teatro e persino la stand-up comedy. È stato evidenziato come ciò possa promuovere la comunicazione e la riflessione su questi temi, invitando le donne a esprimere agli uomini il loro disagio.

Arteterapia per migliorare il benessere mentale nel Ruanda post-genocidio

Nel 1994 il Ruanda ha attirato l’attenzione internazionale per i tragici eventi verificatesi durante il genocidio avvenuto dall’aprile al giugno di quell’anno. La portata della devastazione è stata immensa. In 100 giorni oltre il 10% della popolazione, circa 1.1 milioni di persone, è stata uccisa e gran parte delle infrastrutture del Paese distrutte. Più di quattro milioni di persone sono state sfollate, e la metà costretti a fuggire nelle nazioni confinanti.

Nonostante la nazione goda ora di una certa stabilità politica e registri una buona crescita economica, la gran parte dei suoi abitanti convive quotidianamente con il malessere psicologico provocato della guerra. Nonostante il Governo del Ruanda abbia messo in atto diverse iniziative cosiddette “della memoria” grazie soprattutto al supporto delle Nazioni Unite, vi è la quasi totale assenza di un sostegno terapeutico alle persone affette dai disturbi mentali post-traumatici.

Oltre alla fallacia istituzionale, va inoltre tenuto conto che nella tradizione locale l’aperta espressione delle emozioni e l’esternazione di stati d’animo di malessere non è ben vista. La cultura ruandese non incoraggia e mal vede la manifestazione dei sentimenti in particolare quelli più intimi e dolorosi. Ciò rende ancora più complicato per gli individui che soffrono di disturbi mentali chiedere aiuto e accedere alle cure. 

Bambini impegnati in attività di arteterapia a Rubingu – Provincia di Kigali. Foto dell’utente Flickr Inequalities Consultation. Licenza CC con attribuzione

È stato proprio questo fattore di contenimento e repressione del trauma a inspirare il lavoro della psicoterapeuta Valerie Chu. L’esperta ha lavorato per anni con le vittime delle brutalità a Kigali impiegando l’arteterapia come mezzo per sostenere la guarigione. Attraverso la collaborazione con diversi leader ed esperti del posto è riuscita a sviluppare un approccio che potesse adattarsi alle usanze culturali ruandesi.

Studiando il linguaggio, i miti e i proverbi locali ha individuato come tradizionalmente si tendesse a servirsi di recipienti quali pentole, cesti e vasi come metafore per descrivere il corpo e l’individuo mentre il contenuto di questi contenitori fosse interpretato e associato ai sentimenti. Un noto proverbio locale recita: “La sofferenza provata da una pentola da cucina è compresa solo da coloro che ne gratteranno il fondo.”

Chu ha quindi iniziato a incoraggiare i suoi pazienti affetti da PTSD a creare e decorare scatole con diversi colori e materiali riempiendole di diversi oggetti. La psicoterapeuta ha riscontrato quanto facilmente potesse essere compresa l’idea di utilizzare una scatola come avatar dell’individuo stesso e aiutasse le persone a esternare ed elaborare sui loro problemi in maniera indiretta, ma non meno efficace, sbloccando il processo di guarigione.

Il suo lavoro ha dimostrato come l’impiego di una terapia che preveda metodi artistici sia da considerarsi preferibile nel contesto socio-culturale ruandese in quanto meno esplicita grazie all’uso di simbologie e allegorie. I ricordi traumatici sono spesso immagazzinati nella mente sotto forma di immagini e in questo caso la creazione e la decorazione di oggetti si è rivelata efficace nel ridurre i sintomi dello stress post-traumatico e aiutare le vittime a riflettere ed esplorare le proprie emozioni.

Opera in memoria del genocidio del Ruanda. Foto dell’utente Flicker Surian Soosay. Licenza CC con attribuzione

Affrontare e comprendere le patologie psichiche attraverso l’arte

Per tutte quelle persone che lavorano per superare traumi, depressione, ansia e altri tipi di disturbi mentali, l’arte consente al creatore di esprimere la propria narrativa psicologica. Questo brain dump può manifestarsi tramite simbologie, icone, codici colore e così via. Se abbinati a un professionista qualificato in grado di interpretare le opere in maniera proattiva, i pazienti possono iniziare a comprendere e affrontare il loro disagio psichico.

Ai pazienti non è richiesta alcuna esperienza precedente o talento artistico per poter essere coinvolti nell’arteterapia. Inoltre, in contesti svantaggiati dove l’esprimere determinate sensazioni in modo verbale o scritto è difficile a causa di uno scarso livello di educazione scolastica o di barriere culturali come in tante zone dell’Africa, l’arteterapia rappresenta una valida alternativa. L’obiettivo è raccontare storie personali, ricollegare la persona alle proprie emozioni o esplorare i ricordi del passato per affrontare il presente in maniera diversa.

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