[Traduzione a cura di Gaia Resta dell’articolo originale di Phumlani S. Langa pubblicato su City Press]
“Abbiamo perso inutilmente così tante persone per la depressione. Jabulani Tsambo, Phumlani Pikoli e la vocalist Nichume Siwundla, per nominarne alcuni. È intollerabile che le persone si sentano sole, si nascondano e non abbiano alternative per risolvere i loro problemi mentali”.
“Questo film nasce dal senso di frustrazione verso il modo in cui la salute mentale viene ampiamente fraintesa nelle comunità nere e africane. Chi è affetto da disturbi mentali difficilmente accede alle possibili cure, e in alternativa viene completamente trascurato”.
Questi sono i sentimenti che hanno portato a realizzare il documentario Black People Don’t Get Depressed [Le persone nere non hanno la depressione, NdT] della regista Sara Chitambo, 40 anni.
L’idea alla base della sua indagine cinematografica è così coinvolgente da aver attirato l’attenzione del Festival di Cannes.
L’anno scorso, la regista era riuscita ad ottenere il sostegno del Durban Film Festival, dove l’International Emerging Film Talent Association aveva offerto importante sostegno e assistenza a lei e alla produttrice Cati Weinek.
Le avevano incoraggiate a trovare collaboratori a livello internazionale, cosa che hanno fatto e che ha portato il documentario sulla ribalta del Cannes Marché du Film insieme ad altre opere in lavorazione di registi emergenti di diverse parti del mondo.
Il Marché du Film è il più grande mercato e forum annuale dell’industria cinematografica in cui convergono oltre 12.500 professionisti, tra cui 1.687 compratori e 5.518 società cinematografiche.
Chitambo ha dichiarato che ricevere questo premio segnerebbe un punto di svolta.
“Aprirebbe molte porte a livello internazionale per quanto riguarda finanziamenti, collaborazioni e distribuzione” ha spiegato.
“Praticamente tutto il documentario, dall’idea all’estetica e all’atmosfera… È un film su più livelli che conta una colonna sonora originale, della poesia inedita e una campagna sociale d’impatto che ha acquisito rilevanza con l’aumentare dei problemi di salute mentale durante la pandemia da Covid-19”.
Chitambo ha illustrato i temi che ha inteso affrontare: “L’assenza di riconoscimento dei problemi di salute mentale nelle nostre comunità opprime e riduce al minimo la percezione che le persone nere hanno di loro stesse. Ho cercato di osservare tramite una lente molto personale un fenomeno radicato nella storia politica, e di andare alla ricerca di soluzioni dignitose per chi vive con disturbi mentali”.
Il film esplora l’atteggiamento degli africani verso la salute mentale e alcune credenze secondo le quali la depressione venga provocata da forze ed entità maligne.
“Durante la realizzazione del film ci siamo imbattuti nel mito dominante e più ricorrente, per cui è necessario praticare esorcismi e pregare per far svanire il sortilegio o il demone in questione.
[La depressione] è considerata una cosa da borghesi, “izinto zabelungu” [dai bianchi] e coloro che dicono di soffrirne sono comunemente visti come deboli e “wa tefa”, in cerca di attenzioni. Siamo stati fuorviati a nostro svantaggio dalla narrazione sulle persone nere e forti ”.
Abbiamo parlato con la regista di alcuni dei protagonisti del documentario, tra cui la docente e accademica Baba Buntu, il comico Ebenhaezer Dibakwane e l’attivista nigeriana Orezimena Malaka.
“La dottoressa Sindi van Zyl è stata la prima persona a sostenere la mia idea quando ho iniziato a cercare dei personaggi, è stato un onore. Ho conosciuto Sindi su Twitter e trovato Orezimena in Nigeria tramite una newsletter sulla salute mentale a cui sono iscritta. Ian Kamau, che scriverà i testi poetici, vive in Canada. L’ho conosciuto quando è stato in tour per la prima volta in Sudafrica nel 2012, da allora siamo rimasti in contatto e abbiamo anche fatto delle sessioni di terapia online” ha detto.
Chitambo ha dichiarato che, attraverso le storie personali dei protagonisti e il suo percorso di guarigione alla ricerca di strumenti per reagire, il film esplora la depressione in tutte le sue sfumature – da quella funzionale, di livello minimo, a quella maniacale – e demistifica e sfida le false percezioni della malattia e della salute mentale.