My mind our humanity è una campagna globale che rientra nell’ambito del lavoro della Commissione Lancet sulla salute globale, per diffonderne i risultati e per dare voce ai giovani di tutto il mondo su questo tema.
Scopo dell’iniziativa è ridurre lo stigma e promuovere la consapevolezza che la salute mentale sia parte fondamentale dell’essere umano e del suo benessere; integrare le voci e le esperienze dei giovani nel dibattito pubblico sulla questione a livello globale; educare i giovani e ispirarli ad agire per promuovere il benessere nelle loro comunità.
Si tratta di una campagna istituzionale – coinvolta l’Università di Oxford, il Wellcome Trust-funded project, il BeGOOD, che ha al suo attivo anche uno studio sull’intervento precoce nelle psicosi, e poi studiosi e organismi dell’ONU – ma che ha comunque messo in movimento molte realtà dal basso. La campagna, infatti, ha coinvolto molti giovani artisti per la creazione di disegni, animazioni, poesie.
Per coloro che devono nascondere il loro dolore e le loro ferite perché la depressione [in Africa] non esiste. Ecco, tale progetto ha offerto anche la possibilità di toccare un argomento tabù. In Occidente si continua a considerare quasi impossibile che il disagio mentale possa interessare adulti e giovani africani. Così come, spesso, nelle comunità africane si tende a rigettare il problema: “per un matto – si pensa – non c’è cura“. “I matti sono espressione di possessione”. “I matti si legano e si tengono lontano” e via dicendo.
E invece, recenti ricerche hanno dimostrato che la malattia mentale e la depressione sono in aumento anche nei Paesi a basso reddito, e in certi casi soprattutto, perché dovute a condizioni di povertà e alla sensazione – reale – di non avere nessuna vita d’uscita dai propri problemi.
E ci sono studi che dimostrano l’aumento dei suicidi di giovani adolescenti. In Sudafrica il 9% di decessi di adolescenti è dovuto al suicidio e, secondo i ricercatori, il 75% di coloro che si tolgono o tentano di togliersi la vita hanno inviato segnali alla famiglia, alla comunità. Segnali che però non sono stati presi sul serio.