“La lista mancante dell’OMS”
C’è una pandemia di cui nessuno parla
che scorre silenziosa come melma
tra noi.
È pervasiva.
Ma purtroppo i suoi sintomi sono facili da nascondere.
Non conosce età
e non conosce classe.
Può colpirti da qualsiasi luogo
anche a due metri di distanza.
Soprattutto a due metri di distanza.
Soprattutto se c’è abbastanza spazio tra di noi.
Si insinua lentamente in te
e ora dopo ora
ti cresce dentro sempre più
radunando le forze.
Finché una notte fatale crolla su di te,
gettandoti tutto il suo fardello sulle spalle.
Ti fa tremare le gambe
e il tuo cuore geme.
Senti una profonda fitta nelle viscere.
Senti un profondo vuoto.
Senti una profonda solitudine che ti brucia gli occhi.
Senti una pesantezza debilitante
che ti fa accasciare nel punto stesso in cui ti trovi.
C’è una pandemia di cui nessuno parla.
Non è nuova
ma questo è il problema;
credevamo di averla risolta.
Ci è sempre parso meglio nasconderla…
per non sembrare bisognosi,
per non sembrare dipendenti,
per non soffocare chi ci sta intorno,
perché non sembrasse
che c’è qualcosa che non va in noi.
Ma è qui che ci sbagliavamo
perché è naturale.
È solo fame.
È proprio come la fame
quando ci segnala che abbiamo bisogno di nutrirci.
Ma quando ci neghiamo quel nutrimento,
quella fame uccide peggio di
obesità e pressione alta insieme!
C’è una pandemia di cui nessuno parla.
Forse l’OMS non l’ha ancora certificata.
Forse non sappiamo ancora
quanto possa essere grave.
Sei fortunato se le fitte ti colpiscono mentre sei giovane, giovanile.
Le possibilità di sfuggire
alle sue grinfie sono maggiori.
Hai ancora l’energia.
Hai ancora lo spirito.
Ma più invecchi
e più diminuiscono le tue probabilità.
È il vero orologio biologico.
È un ciclo che si autoavvera;
più lo nascondi,
per non sembrare bisognoso,
più ti imprigiona.
Più ti imprigiona,
più ti convince a nasconderti dagli altri.
Finché un giorno vieni derubato da un teletruffatore in Giamaica
solo perché volevi sentire qualcuno dall’altra parte della linea.
C’è una pandemia di cui nessuno parla.
È pervasiva.
Ma possiamo ancora proteggere noi
e quelli intorno a noi,
semplicemente ascoltando i nostri bisogni sociali;
ascoltando la fame.
Nostra e altrui.
Rimanendo aperti alla nostra vulnerabilità.
Rendendo sicura per gli altri quell’apertura.
Cercando l’attenzione di cui abbiamo bisogno.
E dandola in cambio.
Perché non c’è niente di male
nell’aver bisogno di qualcuno.
Nell’essere aperti.
È naturale.
Non c’è debolezza
nell’aver voglia di essere visto.
Toccato.
Nel cuore e sulla pelle.
Per favore accetta di aver bisogno
in modo che tu possa essere nutrito.
C’è una pandemia,
di solitudine,
di cui nessuno parla.
Ma in questa età moderna,
meticolosamente progettata per facilitarla,
continua a scorrere,
come melma
sotto i ponti in fiamme
che abbiamo costruito per la nostra
vita quotidiana emaciata e frenetica.
Lontana dagli occhi e lontana dal cuore.
Ma comunque pericolosa come un cobra reale nell’oscurità.
Non lasciamola colpire.
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[Su gentile concessione dell’autore]
Traduzione di Maria Luisa Vezzali
Ade è uno dei pionieri della spoken word nel Sud Sudan che si occupa soprattutto di salute mentale, questioni sociopolitiche e sensualità. È autore di quattro raccolte di poesie: il suo libro di debutto nel 2018, Lemonade Love; il chapbook Passionate Elixir, in collaborazione con un poeta conterraneo (2019); il suo libro più atteso, Stranded Lullabies (2019), che gli è valso il premio di Miglior libro di poesia dell’anno. Il poema che pubblichiamo su questa pagina è tratto da Quarantine, una raccolta scritta durante la pandemia, incentrata su questioni personali riguardanti la salute mentale.
Ade è anche fondatore di un gruppo letterario, chiamato Kahlimat Poetry Club, che ha svolto un ruolo importante nel rendere popolare la poesia nel Sudan del Sud e ha dato ai giovani poeti una piattaforma per esprimersi attraverso la forma d’arte amata.