Il pazzo africano
Dorme su cumuli di spazzatura,
Nelle discariche,
Raccoglie la fibra già masticata della canna da zucchero,
La tritura digrignando i denti.
Priva di saccarosio e di qualsivoglia sapore dolce,
le scorze gli tagliano le mascelle e gli graffiano le gengive.
Nelle discariche,
Cena insieme ai cani
Cacciandoli via dai loro ossi.
I più tenaci si ribellano e affondano gli artigli nella sua pelle ruvida.
I più deboli guaiscono/abbaiano in preda all’agonia.
Il pazzo africano
Adorna la sua pelle malata con qualche straccio.
A contatto con il suolo rovente/sassoso/brullo,
I suoi piedi simili a pneumatici hanno sviluppato profonde lesioni sui talloni,
e gli spietati parassiti gli mangiano le unghie fino a consumarle.
Mentre gli uccelli volano verso i nidi cinguettando,
Le mucche incrociano le corna tornando al recinto,
I bambini si divertono con i giochi serali sull’uscio di casa,
Il pazzo vaga al freddo,
inconsapevole della sua stessa sofferenza,
Si vanta: “Sono il più grande mushazi* dei promontori”
E gli uomini crudeli
Lo considerano un motivo
Per ridere di lui,
Per fargli il verso,
E per divertirsi.
Il pazzo africano
attende il nuovo giorno
Per abbandonarsi all’infelicità, alla fame e al rancore.
*Imbecille.
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[Su gentile concessione dell’autore]
Traduzione di Gaia Resta
Scrive componimenti per Stubborn Poetry, nascente etichetta ugandese di poesia. Tra i temi da lui affrontati vi è anche la salute mentale, come dimostra questo testo che illumina e restituisce umanità alla figura oscura di un uomo, spinto ai margini dalla sua malattia e dall’indifferenza della società.
Amanya ha scritto anche numerosi testi poetici e in prosa sull’ambiente e l’attivismo per il clima, spinto dal desiderio che l’umanità “salvi madre natura dall’estinzione“. Crede fermamente che “il cambiamento climatico dipenda da un’azione di massa e non individuale“.