Con sentenza del 10 settembre 2020, nel caso G. L. c. Italia, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato – all’unanimità – lo Stato italiano per non aver garantito un’educazione realmente inclusiva a una alunna con disabilità, rilevando la violazione dell’art. 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione EDU, in combinato disposto con l’art. 2 del Protocollo 1 (diritto all’istruzione).
Brevemente, ricordiamo i fatti. Una bambina con problemi di autismo non verbale era stata privata, per i primi due anni di scuola primaria, del supporto scolastico a cui avrebbe avuto diritto in ragione di quanto previsto dall’art. 13, della Legge 104/1992. A nulla erano valse le ripetute istanze dei genitori. Sia il TAR Campania sia il Consiglio di Stato avevano, infatti, respinto i ricorsi ritenendo che il mancato sostegno alla bimba fosse da imputare non tanto all’amministrazione locale quanto alla riduzione delle risorse stanziate dallo Stato e destinate a far fronte a esigenze educative specifiche.
La Corte Europea ha, anzitutto, precisato il carattere indispensabile del diritto all’istruzione in ogni società democratica, chiarendo che lo stesso deve essere assicurato a tutti i bambini, disabili compresi. A tale scopo, non è sufficiente – ad avviso dei giudici – fissare leggi astratte a supporto dei più vulnerabili. È necessario, al contrario, assicurare che le disposizioni normative esistenti vengano applicate in modo concreto ed efficace.
L’ordinamento giuridico italiano sancisce un sistema educativo altamente inclusivo anche dei bambini con disabilità, risultando – almeno sulla carta – conforme agli strumenti internazionali in materia di diritto all’istruzione. L’attuazione delle norme previste appare, però, incompleta e lacunosa.
Nel caso di specie, secondo la Corte Europea, le competenti autorità italiane non si erano adoperate per far sì che la ricorrente potesse frequentare la scuola primaria in condizioni equivalenti, con le dovute differenze, a quelle degli altri studenti. La riduzione delle risorse finanziarie, sostenuta dalla difesa italiana, non è stata ritenuta una motivazione valida nella misura in cui ha avuto un impatto solo sugli scolari con disabilità e non anche sugli altri. Non c’è stata quindi un’equa ripartizione del sacrificio connesso al calo del budget economico.
La discriminazione subita dalla bambina, peraltro, è stata considerata di particolare gravità tanto in ragione del carattere prolungato della non erogazione del servizio che del contesto di riferimento. La scuola elementare, infatti, rappresenta un momento fondamentale per le basi dell’istruzione e per l’integrazione sociale.
Strasburgo ha condannato l’Italia a versare 2.520 euro per i danni materiali e 10mila euro per i danni non patrimoniali, nonché 4mila euro per le spese sostenute.
(La sentenza è disponibile qui)