[Traduzione di Luciana Buttini dell’intervista di Pina Piccolo a Nsah Mala pubblicata su The Dreaming Machine]
Nei mesi di settembre e ottobre di quest’anno, ho avuto la fortuna di assistere a una serie di incontri del progetto multilingue delle Nazioni Unite Sustainable Development Goals (SDG) Book Club, tenutisi su Zoom da Olatoun Gabi-Williams, fondatrice di Borders Literature for all Nations. La giornalista nigeriana ha intervistato Nsah Mala, Akira Junior, Christable Tuh e Ryan Nsom, rispettivamente autore, illustratore e due giovani lettori del libro per bambini sull’albinismo pubblicato in lingua inglese “Andolo, the Talented Albino” [Andolo, l’albino talentuoso NdT] e in lingua francese “Andolo – l’albinos talentueux”.
Da questi incontri è emerso che nel libro sia l’autore che l’illustratore affrontano molte questioni sociali, assicurandosi sempre di rappresentarle da una prospettiva legata alle esperienze africane, e non imposta da agende politiche e dibattiti internazionali nati per lo più fuori dall’Africa.
Eccovi, dunque, la prima parte dell’intervista all’autore Nsah Mala, alla quale ne seguirà una seconda con l’illustratore Akira Junior che sarà pubblicata nella prossima uscita (n°8) prevista per il 1 maggio 2021.
Nel creare il personaggio di Andolo, il bambino albino dai molteplici talenti e perfettamente integrato nella società che è persino oggetto di ammirazione da parte dei bulli, hai attinto alle esperienze di alcuni tuoi familiari del Camerun. Questo legame personale ha giocato un ruolo molto importante nella realizzazione di un personaggio realistico piuttosto che di un mero strumento didattico idealizzato, giusto? Ti pongo questa domanda perché, generalmente, i bambini si accorgono subito se gli adulti cercano di gettar loro fumo negli occhi… In questo senso i più piccoli sono dotati di una complessa sensibilità che noi adulti a volte non riusciamo a riconoscere e questo costituisce una sfida rispetto al registro e al contenuto dell’opera.
Certamente, questo legame personale è stato fondamentale nella realizzazione di un personaggio credibile come Andolo. Capisco cosa intendi: i lettori bambini non amano essere sottovalutati o trattati con sufficienza ed è per questo che nei libri per l’infanzia bisogna sempre scegliere stili e contenuti con consapevolezza.
Nella realizzazione del personaggio hai tenuto conto delle molteplici differenze di un Continente così vasto in cui ogni regione presenta enormi diversità in termini di esperienze e tradizioni? Nel nostro caso specifico, in alcune regioni vi è estrema ostilità verso gli albini. So che quest’opera è stata pubblicata in inglese e in francese, ritieni che possa avere dei lettori in tutto il Continente e anche al di fuori di esso? Se sì, hai fatto riferimento a luoghi in cui è diffusa l’ostilità verso le persone affette da albinismo?
Ho scritto il libro dalla prospettiva di un camerunense, più concretamente dal punto di vista degli abitanti del villaggio di Mbesa che si contraddistinguono per la loro cultura positiva nei confronti delle persone albine ma ho comunque immaginato che si rivolgesse a un pubblico di lettori che vivono sia in questo Continente che all’estero per i motivi che hai appena citato. In Africa, come altrove, le ostilità e le discriminazioni verso gli albini cambiano di regno in regno, di comunità etnica in comunità etnica, di Paese in Paese e via dicendo. Come vi spiegherò, prima, durante e dopo la scrittura di Andolo, avevo già in mente di prendere come riferimento delle zone dell’Africa che appaiono estremamente ostili alle persone affette da questa malattia congenita.
Nella creazione dell’intreccio, come sei riuscito da una parte a costruire la fiducia in se stessi dei lettori che si trovano nella medesima condizione e dall’altra a combattere l’ignoranza sull’albinismo, che spesso conduce verso la stigmatizzazione degli albini? Pensi che il libro sarebbe stato diverso se, ad esempio, fosse stato scritto in Tanzania?
Nel libro l’obiettivo principale era quello di celebrare le persone affette da albinismo o meglio di mostrare che gli albini “sono nati per brillare” (tra l’altro tema della Giornata Internazionale dell’albinismo di quest’anno). In questo modo ho contribuito dunque ad accrescere la fiducia in se stessi dei potenziali lettori affetti da tale patologia e ho aiutato gli altri lettori a diventare più comprensivi, tolleranti, inclusivi e amorevoli nei confronti di tutti loro.
Nell’opera, la lotta all’ignoranza sull’albinismo è un tema che è stato affrontato in maniera più implicita ma sto considerando l’idea di renderlo più esplicito nelle prossime edizioni, ad esempio attraverso l’inserimento di una nota conclusiva oppure nella sezione dedicata agli altri libri correlati.
Intanto, come ho già accennato prima, il libro è nato principalmente con la consapevolezza che alcune parti dell’Africa sono estremamente ostili verso le persone albine. Inizialmente volevo proporre la storia a una casa editrice in Tanzania ma dopo aver ricevuto solo promesse e nessun tipo di risposta già per un altro manoscritto, ho deciso di far pubblicare Andolo in Camerun. Nonostante ciò, ho comunque informato il mio editore camerunense di quanto dovessi lottare per trovare un co-editore del libro in Africa orientale. Per fortuna, in Kenya una persona di rilievo affetta da albinismo ha manifestato interesse verso la mia opera e al momento stiamo esaminando alcune possibilità di collaborazione. Per rispondere, invece, alla tua domanda in modo più diretto credo che non avrei cambiato niente di significativo se il libro fosse stato pubblicato in Tanzania in quanto la mia intenzione era quella di condividere con gli altri l’esperienza del Camerun e del villaggio di Mbesa. Ma se lo avessi concepito sulla base di alcune terribili storie che spesso sentiamo sulle persone albine in alcune parti del Continente, soprattutto in quella orientale, l’avrei sicuramente scritto in maniera diversa.
Come sei riuscito a far coesistere l’esigenza di rivolgersi a due tipi di lettori, i bambini albini e i lettori poco informati, rendendo allo tempo stesso il libro divertente da leggere? In tal senso, trovi che ci siano delle differenze nello scrivere libri per adulti e per bambini? Inoltre, il graphic novel è un genere che unisce il linguaggio visivo a quello letterario ma si rivolge comunque a un pubblico più adulto. Qual è il tuo parere a riguardo?
Come ho già affermato prima, il mio obiettivo principale era quello di celebrare i bambini affetti da albinismo; il fatto poi di istruire i lettori non informati sull’argomento è un aspetto che si è aggiunto in seguito più o meno naturalmente. Suppongo che se avessi voluto realizzare un’opera che perseguisse sullo stesso livello questi due obiettivi avrei rischiato di far assumere alla storia un tono didattico. In questo senso non credo che ci sia una grande differenza tra i libri per adulti e quelli per bambini. Concentrarsi sui personaggi e sull’intreccio dell’opera è un qualcosa che, almeno per me, porta verso la creazione di storie avvincenti e contribuisce a evitare la trappola del didattismo, che scatta quando ci si concentra più sull’insegnare qualcosa che sul raccontare.
Sei prima di tutto un poeta per adulti. In che cosa l’esperienza di scrivere un libro in versi per bambini si è rivelata diversa dalla tua principale attività di scrittura? Mentre scrivevi i versi avevi in mente anche una componente visiva? Se sì, sei riuscito a trasmetterla e a condividerla con l’illustratore?
La sfida maggiore per me è stata di scegliere un lessico che non facesse sentire i bambini trattati con sufficienza. Sicuramente la componente visiva ha giocato un ruolo fondamentale nel processo di scrittura, così come avviene in qualsiasi opera destinata a essere illustrata. Sì, ho condiviso alcune delle mie visualizzazioni con l’illustratore ma devo dire che è emersa anche la creatività di Akira così come si sono rivelati notevoli i contributi della casa editrice Éditions Akoma Mba. Sono contento che gli sforzi della nostra collaborazione siano stati ripagati da una bella pubblicazione.
Tra i tuoi libri per l’infanzia troviamo “Le petit Gabriel commence à lire” pubblicato in Francia dalla casa editrice Éditions Stellamaris e “Little Gabriel Starts to Read” pubblicato dalla Spears Books negli Stati Uniti e un’altra opera dal titolo “What the Moon Cooks” di prossima pubblicazione da parte della statunitense POW! Kids Books. Visto che “Andolo” affronta una particolare esperienza di disabilità presentando degli obiettivi educativi più diretti, o meglio una missione più esplicita, rispetto agli altri è stato concepito seguendo un processo di scrittura diverso? In che modo sei riuscito a inserire nel testo degli elementi ludici che l’avrebbero reso accattivante agli occhi di un bambino? I lettori, gli insegnanti e le famiglie ti hanno mandato un feedback?
I dati demografici dell’Africa dimostrano una crescita esponenziale dei giovani rispetto ad altri Paesi europei, nordamericani o asiatici come il Giappone. Questo aspetto modifica il modo in cui gli scrittori immaginano i loro potenziali lettori? E come influisce sugli stili di scrittura, i temi e i linguaggi impiegati?
Le tue osservazioni sulla demografia africana sono giuste. Questo comporta però non solo che ci sia un’espansione del mercato editoriale africano per ragazzi ma che l’industria editoriale diventi sufficientemente dinamica. Inoltre è importante che il desiderio di leggere, e non solo i libri scolastici, si sviluppi in un numero sempre maggiore di persone, soprattutto tra i giovani. Sicuramente, quando si scrive per un pubblico giovane, che si tratti di libri cartonati o illustrati ma anche di narrativa per ragazzi e giovani adulti, ci sono aspetti specifici dello stile e alcuni temi che risultano particolarmente appropriati. In fin dei conti, cosa ci guadagna uno scrittore se il suo lavoro non risulta né accessibile né interessante per il suo pubblico di riferimento? È chiaro che nel Continente africano, le lingue di scrittura dominanti sono ancora quelle coloniali come l’inglese, il francese, il portoghese e lo spagnolo ma al fine di sfruttare il nostro crescente potenziale demografico e anche per mettere in primo piano le diversità culturali e linguistiche della nazione, è anche fondamentale pubblicare libri scritti nelle lingue indigene africane (come a volte faccio scrivendo nella mia lingua nativa, lo mbesa). Prove scientifiche dimostrano che i bambini che iniziano ad apprendere e a leggere nella lingua madre spesso ottengono risultati migliori a scuola rispetto a coloro che lo fanno nella lingua straniera.
Scrivere un libro per bambini offre l’opportunità di raggiungere un tipo di pubblico, che rispetto a quello adulto, è più propenso ai cambiamenti. A tal proposito quali pensi siano alcune delle responsabilità specifiche degli scrittori?
Ritengo che la letteratura per adulti e quella per l’infanzia abbiano una grandissima propensione a influenzare le persone verso il cambiamento. Questo è tanto più vero quando si parla ad esempio di letteratura ambientale, oggetto tra l’altro del mio attuale dottorato di ricerca. Tuttavia, sono d’accordo quando dici che i bambini, rispetto ai grandi, sono più suscettibili a rimanere influenzati dalla lettura dei libri. Pertanto, agli scrittori per l’infanzia spetta una grande responsabilità, quella di impegnarsi a trattare tutti i temi in un modo tale che tra i bambini si possano produrre cambiamenti comportamentali più positivi, tolleranti e inclusivi.
In generale, che tipo di sfide e di soddisfazioni derivano dal mantenere il punto di vista centrato sulle questioni dell’Africa e riuscire allo stesso tempo a raggiungere i lettori che vivono fuori dal Continente o nella diaspora? A quali modelli ti ispiri per raggiungere tale equilibrio? Puoi parlarci anche dei dibattiti in corso tra scrittori e artisti visivi africani che vivono nel Continente riguardo la creazione di opere d’arte basate su esperienze autenticamente africane, in un mondo sempre più globalizzato?
Ottima domanda, Pina. Personalmente, ritengo che sia normale e naturale per noi scrittori e artisti africani assicurarsi di trattare le questioni del Paese secondo i nostri gusti e desideri, e non di assecondare i programmi della politica euroamericana e le aspettative nei nostri confronti. È nostro dovere quello di rappresentare noi stessi e impegnarci ad affrontare le problematiche dell’Africa che ci stanno a cuore. In questo modo anche noi possiamo contribuire come partecipanti attivi ai dibattiti e ai programmi internazionali. In termini di soddisfazione, quando nel corso di discussioni globali concorro a dar voce al popolo africano mi sento appagato. Rispetto invece alle sfide, la più ovvia riguarda l’attività di gatekeeping euroamericano che tutti noi conosciamo nel mondo dell’editoria. Capita frequentemente che il nostro lavoro non soddisfi le aspettative spesso stereotipate sul Continente africano da parte degli editori occidentali e che quindi risulti molto difficile trovarne uno che pubblichi le nostre opere. Sono tanti, invece, gli scrittori a cui mi sono ispirato: i nigeriani Chunua Achebe e Wole Soyinka, il kenyota Ngugi wa Thiong’o’ e i camerunensi Babila Mutia, Mongo Beti, Imbolo Mbue, per citarne alcuni. Sebbene in Africa si tengano importanti dibattiti ed eventi sulla narrativa, mi sembra che le opportunità nel campo delle collaborazioni autore-artista visivo o autore-illustratore siano molto poche. Mi auguro vivamente che la futura creazione di nuove piattaforme possa colmare queste lacune.