Anche la migrazione di ritorno può diventare fonte di sofferenza. Creare una condizione in cui spazio, tempo, esperienze si allontanano, diversificandosi così tanto da non poter permettere alcun incontro. Una cesura culturale, prima che spaziale; sociale prima che temporale. E anche l’istruzione può essere un anelito che da sogno di affrancamento si trasforma in prigione.
Sono cose che accadono in Nervous Conditions, primo romanzo pubblicato in inglese (1988) da una donna nera zimbabweiana.
Lei è Tsitsi Dangarembga, film-maker e scrittrice, e il romanzo vince il Commonwealth Writers’ Prize l’anno dopo la sua pubblicazione.
Le due donne protagoniste incarcano una, Nyasha, la difficoltà di reintegrarsi in una società così diversa da quella che aveva sperimentato in Inghilterra dove i genitori si sono trasferiti per molti anni. Un ritorno in terra africana che diventa traumatico con il tempo che passa e che porterà la ragazza ad uno scontro sempre più diretto con il padre e ad atteggiamenti di allontanamento da un mondo estraneo, fino a cominciare a soffrire di una grave forma di anoressia. Il contatto con la cultura occidentale l’ha cambiata per sempre. Ora, tornata “a casa”, vede cose che le fanno male e che risultano quasi impossibili da cambiare.
L’altra, Tambu, incarna il desiderio di migliorare la propria condizione di ragazza di villaggio e di donna, attraverso l’istruzione. Un’istruzione “bianca”, quella dei colonizzatori, che eleva e di cui andare fieri. Ecco perché Tambu quando afferra questa opportunità, non capisce le critiche, le crisi di Nyasha, la cugina. Solo entrando sempre di più nel sistema – ingresso per il quale deve continuamente essere grata allo zio ricco e colto Babamukuru, che tutto decide, tutto consente solo se vuole – comincerà a vederne le crepe, a sentirsi, anche lei soffocata. A pensare che, forse, c’è qualcosa che non va.
Il titolo, Nervous Conditions, è preso in prestito dall’introduzione di Jean-Paul Sartre a Wretched of the Earth di Franz Fanon. “La ‘condizione nervosa’ del nativo è, secondo Sartre, una funzione di atteggiamenti che si rafforzano a vicenda tra colonizzatori e colonizzati che condannano i colonizzati a ciò che equivale a un disturbo psicologico“.
Un libro semi-biografico. Tsitsi Dangarembga è nata a Mutoko, cittadina nella Rhodesia coloniale, in una famiglia di educatori. A due anni si trasferì con i suoi genitori in Inghilterra, e l’inglese divenne così la prima lingua tanto che dimenticò gran parte dello Shona, lingua madre. Quando tornò in Rhodesia, nel 1965, entrò in una scuola missionaria – proprio come Tambu – e imparò di nuovo lo Shona.
In futuro viaggerà e studierà in America e a Cambridge. Ma la nostalgia (e l’isolamento, ha raccontato) la faranno tornare in Rhodesia, poco prima dell’indipendenza del Paese, che diviene dunque Zimbabwe, dove ha studiato psicologia.
In Italia il libro è stato tradotto da Gorée con il titolo La nuova me.